Da Corriere della Sera del 25/11/2003

Il teorico cattolico

Novak: produrre utili e comunità locali prospere alla base dello sviluppo

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Per Michael Novak, uno dei maestri del pensiero cattolico-conservatore, l'etica nel business, il mondo degli affari, non è tanto una questione di principio quanto un dettato istituzionale.
Novak è un difensore del «capitalismo dal volto umano», a suo parere impersonato dal capitalismo americano, «che storicamente non prescinde da responsabilità sociali». Negli Stati Uniti, afferma, le banche hanno sovente guardato al lungo periodo: in quanto enti economici, mirano al profitto, ma non soltanto in sé, bensì anche per generare lo sviluppo della comunità. In particolare a livello locale, sostiene il dirigente della America Enterprise Institute, un noto serbatoio di cervelli repubblicano, le banche sono un fattore di crescita e di equilibrio sociale. E' un concetto che l'economista Robert Reich, l'ex ministro del Lavoro del presidente Clinton, vorrebbe estendere a tutte le imprese americane: «Esse sono responsabili», dichiara Reich, «oltre che nei confronti degli azionisti anche verso la comunità in cui operano».

C'è un ordine di precedenza negli obbiettivi delle vostre banche?
«Quando si parla di banche, tutti pensano ai colossi di Wall Street. Bisogna invece guardare alle banche locali. Il loro primo compito è di non causare perdite ma di portare guadagni a chi vi ha depositato soldi. A questo fine, le banche devono prosperare. Ma possono prosperare solo se la comunità prospera».

In che cosa si traduce questa consapevolezza?
«In una saggia partecipazione alle attività cittadine. Mia moglie viene da un Paese di 2.000 abitanti dello Iowa. La sua banca finanzia la costruzione dell'ospedale, la fiera commerciale, la mostra al museo, l'album scolastico annuale, fa prestiti al Comune quando è nei guai. E' una tradizione dello spirito della frontiera».

Ma non è una tradizione che rischia di scomparire con le fusioni e le concentrazioni?
«Non necessariamente. La mia piccola banca di Washington è stata acquistata da una grande banca di New York, ma ha conservato un certo margine di manovra nella comunità. Le fusioni, le concentrazioni servono a ridurre i costi, a ottenere sinergie, non a creare un solco tra la istituzione e i cittadini».

La sua analisi non è viziata da una visione rosea del capitalismo?
«No. In base a che cosa opera una banca? La fiducia. Se il risparmiatore o investitore perde la fiducia in essa, le porta via i suoi soldi. Se una comunità non cresce, la gente se ne va, e forse la banca chiude. Capita non di rado, perché in America una famiglia su quattro si sposta ogni due anni. Non è soltanto l'etica a suggerire un certo comportamento alle banche, è anche il senso degli affari».

Come spiega allora gli scandali di Wall Street? Hanno coinvolto le vostre maggiori banche...
«C'è un divario temporale tra le nuove tecnologie e le nuove istituzioni e la legge vigente. Le nuove tecnologie e le nuove istituzioni conducono spesso a degli abusi perché non sono ancora regolate dalla legge. La legge vi pone riparo solo dopo un certo intervallo di tempo. Ma ciò non significa che il sistema sia marcio».

Non può negare però che molte banche siano ossessionate dal profitto trimestrale. Se esso non aumenta, le loro azioni a Wall Street crollano.
«E' un difetto recente, e spero che sia stato curato dai disastri degli ultimi anni. Il buon senso vuole che il profitto a lungo termine non vada sacrificato in nome di quello a breve termine. Abbiamo attraversato un periodo di eccessi, ma c'è stata una rivolta sia a livello popolare sia a livello del Congresso».

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