Da La Repubblica del 25/11/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/i/sezioni/economia/euro/braccioferro/bra...

Il commento

La rivolta della Germania

di Andrea Bonanni

BRUXELLES - Più che un economista, qui ci vorrebbe uno psicologo. Il ministro di un paese del Nord, che i tedeschi li conosce bene, così spiega quella che definisce "la rivolta del primo della classe": un groviglio di torti e di ragioni, di vecchie esasperazioni e di nuove ansie per il futuro, di buone intenzioni e di cattivi risultati che sta spingendo la Germania a ribellarsi contro le regole europee, contro il Patto di stabilità, contro la filosofia stessa che vuole l'Europa come una comunità di uguali. La riunione dei ministri delle Finanze della zona euro è uno psicodramma che mette in gioco non solo il Patto e con esso la credibilità della moneta unica, ma il principio stesso d'una Unione basata su regole condivise e applicate in modo non discriminatorio a tutti i Paesi.

Il problema è che la Germania, oltre che l'ex primo della classe, è anche il gigante europeo. Berlino è potente, è alleata con Parigi che si trova nella sua stessa situazione e si copre dietro le spalle larghe della Germania, e gode delle simpatie dell'Italia e della Gran Bretagna: entrambe insofferenti del potere centrale della Commissione e della responsabilità che il Patto le assegna di far rispettare le regole comuni. E dunque la ribellione tedesca, se non si troverà un compromesso che salvi almeno i principi, pur concedendo a Francia e Germania margine di manovra nella sostanza della disciplina di bilancio, rischia di tramutarsi in un regolamento di conti dei grandi paesi nei confronti della Commissione e del suo ruolo di guardiana dei Trattati.

Lo spazio per un compromesso sui tempi e sulla durezza del risanamento da imporre ai bilanci di francesi e tedeschi si può trovare, lasciano capire gli uomini del commissario agli affari economici Pedro Solbes. E tanto peggio se nei confronti del piccolo Portogallo le regole sono state applicate con implacabile severità. "Quello che vale per un Paese vale per gli altri, ma quando un piccolo paese ha un grande problema, è un grande problema solo per questo paese. Mentre quando un grande paese ha un grande problema questo diviene un problema per tutta l'Europa", spiega il ministro del bilancio lussemburghese, che di piccoli Paesi se ne intende.

E in effetti se i tagli imposti dal Patto di stabilità dovessero rivelarsi talmente duri da impedire alle economie di Francia e Germania, che da sole fanno poco meno della metà del Pil europeo, di cogliere al volo la brezza della ripresa economica, il prezzo di questa occasione perduta lo pagherebbero non solo i francesi e i tedeschi ma tutti i cittadini europei in termini di mancata crescita.

La battaglia, dunque, non sarà su qualche decimo di punto percentuale in più o in meno. E forse neppure sulla data limite entro la quale riportare i deficit dei due paesi al di sotto della soglia del tre per cento prevista dal Patto di stabilità. Su questo punto tutti sono pronti a dare prova di flessibilità.

Il vero scontro sarà sulle procedure. Se cioè constatare, come propone la Commissione applicando le regole del Trattato, che Francia e Germania hanno violato le raccomandazioni fatte loro dopo il primo sfondamento del tetto del tre per cento. E dunque mettere i due governi sotto stretta osservazione. Oppure limitarsi a nuove raccomandazioni generiche che non hanno effetti vincolanti.

La questione delle eventuali multe resta comunque molto al di là nel tempo. Ciò che la Francia, ma soprattutto la Germania, non intendono accettare è una procedura che le metterebbe di fatto sotto tutela creando in particolare a Schroeder enormi problemi politici sul fronte interno, pressato com'è da un'opposizione che invoca il rigore.

D'altra parte la Commissione non intende lasciarsi cancellare da un atto di imperio dei grandi Paesi. Romano Prodi lo ha detto a chiare lettere davanti al Parlamento europeo: è in gioco la credibilità del Patto e degli stessi equilibri istituzionali in seno all'Unione. In modo più riservato, il presidente della Commissione ha comunicato a francesi e tedeschi, ma anche alla presidenza italiana cui tocca cercare un compromesso, che se la procedura venisse seriamente violata Bruxelles farebbe ricorso alla Corte di Giustizia contro le decisioni del Consiglio estendendo così il conflitto interistituzionale.

Senza dirlo chiaramente, Prodi ha comunque anche lasciato planare il dubbio che, senza un accordo soddisfacente per tutte le parti in causa e che salvi la credibilità della Commissione e del Patto, la questione potrebbe finire sul tavolo dei capi di governo che a dicembre dovranno riunirsi per chiudere la Conferenza intergovernativa. È un'ipotesi questa che nessuno, neppure la Commissione, vuole prendere in seria considerazione perché la riforma dei Trattati finirebbe per essere ostaggio del negoziato sul rispetto del Patto di stabilità.

Ma, come sempre succede quando a livello europeo il negoziato si fa duro, tutti i dossier aperti finiscono per confluire in un solo groviglio. E così è difficile comprendere le ragioni della rivolta tedesca se non si tiene conto che Berlino sta già guardando con ossessiva preoccupazione alla discussione sulle prospettive finanziarie dell'Unione, cioè sul bilancio della Ue, che si aprirà all'inizio dell'anno.

L'ultimo accordo in materia venne raggiunto proprio a Berlino nel '99 grazie alla decisione del cancelliere Schroeder, da poco nominato, di allargare i cordoni della borsa. Ma questa volta la Germania, che già è il maggior contributore al bilancio Ue, non ne vuol sapere. "Non abbiamo soldi per il nostro bilancio. Non ci possono essere neppure per le casse europee", va ripetendo da mesi il cancelliere. Qualsiasi accordo sul rispetto del Patto di stabilità, dovrà inevitabilmente tenere conto di anche di questa ossessione tedesca.

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