Da La Repubblica del 10/11/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/k/sezioni/cronaca/brigaterosse2/contab/c...

I contabili della morte

di Giuseppe D'Avanzo

LI AVEVAMO potuti immaginare - gli assassini - mentre seguivano i passi di Marco Biagi, mentre ne contavano i tempi di uscita da casa e l'ora del ritorno, il calendario e gli orari delle lezioni all'università, i viaggi verso la capitale, i rientri a Bologna; li avevamo potuti soltanto immaginare - gli assassini delle Brigate rosse - mentre tenevano d'occhio da un angolo buio dell'antico ghetto ebraico, dov'è via Valdonica 14, le ultime spinte ai pedali della bicicletta. Ora che è possibile leggere il resoconto del loro lavoro preparatorio - sono precisi come contabili, minuziosi come artigiani della morte - sembra di poterli anche vedere e toccarne l'ottusità che li ha resi ciechi e ferini.

Sono uomini e donne modesti che trascinano modeste esistenze racchiuse in un doppio "niente" politico e umano, ma che nella preparazione dell'assassinio consumano ogni energia per mettere a punto un "piano perfetto" che non abbia una smagliatura, un'incertezza, un accadimento non previsto o non prevedibile.

Non c'è un uomo nel resoconto che, in sei paragrafi, raccoglie le "regolarità che consentono di agganciare l'obiettivo e di preparare l'azione" e le "opzioni tattiche in relazione alle possibile scadenze e impegni del soggetto".

Marco Biagi, in queste pagine, già non esiste più. È come se fosse già morto, ucciso non dai cinque proiettili 9x17 corto, ma dalla irrazionale miopia che impedisce ai suoi assassini di vederlo. È come scomparso il professore del diritto del lavoro, il consulente del ministro del Welfare e del presidente della Commissione europea, l'ideatore e il redattore di quello "Statuto dei lavori" che aveva l'ambizione di diventare una sorta di common law del lavoro e che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto garantire un "sistema di regole semplici e adattabili, sostanziali più che formali" alla legislazione del nostro Paese. Di quelle idee, di quel riformismo che ha trasformato Marco Biagi in bersaglio, in "vittima designata" non c'è più nulla ormai. È diventato, appunto, "il soggetto", "il soggetto da fermare e colpire".

Gli assassini possono scriverne in modo neutro, distaccato, con la freddezza di un contabile e la pedanteria di un analista che disegna scenari possibili e probabilità favorevoli. Il "soggetto" non ha più un nome. Ne è stata cancellata ogni identità e qualità umana. Lo guardano da lontano, ma non lo vedono.

Non ne vedono gli occhi o l'espressione del volto o la stanchezza quando ritorna a casa dopo un giorno di lezioni e seminari o l'energia quando, di buon mattino, inforca la bicicletta per raggiungere la stazione e partire per Roma o per Modena. Ne contano soltanto i tempi di vita e le azioni consigliate dalle abitudini e dagli impegni di lavoro. Dove lascia la bicicletta alla stazione? Come la protegge? Con due criptoniti. Bene, ma quando tempo resta piegato accanto alle ruote? È quello il momento più utile per sparargli? Forse sì, le condizioni sono favorevoli.

Scrivono: "Disposizioni delle forze nel momento in cui viene colpito il soggetto: si potrebbero posizionare con il mezzo da utilizzare per l'allontanamento acceso e in prossimità delle bicicletta. Può essere opportuno non essere troppo vicini e anche posizionarsi in modo tale da rimanere alla spalle del soggetto nel momento in cui si china ad aprire le due criptoniti...".

Ogni gesto di Marco Biagi, in questa anatomia di un delitto, viene scomposto nei dettagli. Ogni dettaglio sollecita, negli assassini, soltanto possibili "opzioni operative" che altro non sono che un modo di ucciderlo mentre non guarda, non vede, non è attento, non può difendersi e reagire. Vogliono colpirlo nel momento in cui è più indifeso. Vogliono scegliere quel momento con profitto e attenzione.

Sanno di avere nel mirino un uomo indifeso. Lo scrivono senza un'emozione, senza soddisfazione o sorpresa: "Le condizioni generali e attuali del soggetto sono di un obiettivo senza protezione, che si sposta a piedi, non è dato sapere se sia armato o meno, è probabile che non lo sia dato che non ha comportamenti che evidenziano un'attenzione alla propria difesa. In base alle osservazioni effettuate si può affermare che non dispone di protezioni occultate".

Biagi, dopo i mesi di inquietudine in cui ha chiesto con disperata apprensione al governo e ai prefetti una tutela armata, appare in queste pagine come arreso al suo destino tragico. Mai che si guardasse una volta intorno o scegliesse un itinerario inconsueto. Mai che si muovesse verso casa o verso l'Università in compagnia. Si è arreso. Si sente in pericolo e non immagina nemmeno quanto quella minaccia di morte incomba ormai alle sue spalle.

Gli assassini lo osservano, lungo il percorso (via Luretta, via Mentana...) mentre raggiunge la stazione. Lo vedono parcheggiare la bicicletta "al punto noto". Annotano che in quel punto "c'è attività legata all'albergo e alla Asl... È una zona dove ci sono traffici di droga". Lo spiano mentre recupera la bici al ritorno da Roma. Pensano di seguirlo fino a casa. Di bloccarlo "in via Boldrini che è verso via Pietramellara e sopraggiungere nel momento in cui il soggetto è intento a chiudere la bicicletta, uno dei due scende e lo colpisce". Oppure "colpirlo" quando parte per Roma con l'Eurostar delle 6,30: "In quell'orario è possibile che ci siano pochissime persone in transito. È probabile che il soggetto esca da solo, dato l'orario".

Gli assassini vogliono "colpirlo" mentre "i suoi movimenti sono ostacolati da dover far uscire la bicicletta". È necessario allora che sappiano per tempo quando "il soggetto" sta uscendo dal portone...

Scrivono: "È possibile anche che la serratura faccia dei rumori nel momento in cui viene aperta. * Verificare come si apre il portone, che tipo di rumori fa. (Nota aggiunta in corsivo). Verificato che emette un rumore non forte ma udibile in quella situazione di silenzio e amplificazione dei suoni, si è distanti 10 metri".

In queste pagine, che ossessivamente sommano dettaglio a dettaglio fino all'eco di un cigolio del portone nel portico all'alba e ogni dettaglio ha le sue "opzioni tattiche" e ogni opzione i punti di forza e di debolezza, Marco Biagi è come se non ci fosse e chi si prepara ad annientarne la vita appare soltanto prigioniero di un'ossessione. Così, senza emozione, lo uccideranno.

Seguono Marco Biagi lungo il binario 1 del piazzale ovest della stazione di Bologna. Gli vanno dietro mentre attraversa la piazza e fino alla galleria Due Agosto dove è parcheggiata con due criptoniti la bicicletta nera, sellino da velocità, portapacchi, fanale grigio metallizzato, dinamo inserita. Gli assassini già lo attendono in via Valdonica. Quando lo vedono arrivare, risalgono di qualche metro la stradina. Marco Biagi è davanti al portone di casa. Sistema la borsa a terra per legare la bici. Sono le 20,06 del 19 marzo 2002. Uno lo raggiunge alle spalle e dice: "Professore... ehi professore...".

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