Da La Repubblica del 05/11/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/j/sezioni/cronaca/bombalavoro/bonini/bon...

Massimo Leonardi, arrestato un mese fa, abitava a Viterbo. Era già stato indagato in passato

Quel pugno di anarchici che inquieta il Viminale

Nella galassia di sigle dell'eversione, i sospetti sui compagni dell'"antagonista" detenuto a Rebibbia

di Carlo Bonini

ROMA - Alle più ovvie delle domande sollecitate dal sangue di viale Libia - chi e perché? - gli uomini dell'Antiterrorismo danno in queste ore una risposta che somiglia a qualcosa la cui consistenza, se è assai meno di una prova, certo suona più solida di una semplice congettura. Utile - lo vedremo - a sciogliere le parole consegnate da Pisanu al Parlamento. Comunque buona per tenere in piedi un'ipotesi investigativa cui assicurare precedenza. Che riduce il raggio della ricerca delle responsabilità non solo alla matrice anarco-insurrezionalista indicata dal ministro, ma ad un pugno di nomi "verosimilmente confinati" tra quanti, dal 18 ottobre scorso, vanno rumorosamente chiedendo la scarcerazione di Massimo Leonardi, ventinovenne anarchico del collettivo antagonista di Viterbo, detenuto a Rebibbia, perché accusato di aver partecipato all'aggressione di un carabiniere in borghese negli scontri del 4 ottobre a Roma, durante la Conferenza intergovernativa.

"Soltanto a volerli mettere in fila - ragiona un investigatore - tutti, ma dico proprio tutti gli elementi sul tavolo dell'indagine portano lì, al giro di Leonardi, all'indagine sui fatti di piazza dell'Eur e l'area anarchica". Vediamo. La ricorrenza di calendario: 4 ottobre gli scontri, 4 novembre gli attentati. I destinatari dei pacchi bomba: una stazione carabinieri di Roma scelta nel mucchio e quella, più significativa, della caserma dell'Arma di Viterbo, dove Leonardi risiede e dove si era caricato, nel tempo, di imputazioni per associazione sovversiva (1996), oltraggio e danneggiamenti (1998, dopo il suicidio nel carcere torinese delle Vallette di Edoardo Massari).

L'identica fattura dell'ordigno che ha mutilato il maresciallo Stefano Sindona con quelli indirizzati il 2 ottobre scorso alla sede del ministero del welfare e alla stazione carabinieri di Stampace, nel centro storico di Cagliari, nonché, il 16 dello stesso mese, alla Questura di Roma. Ancora: la tensione accesa il 25 ottobre, non lontano dal perimetro di cinta del carcere di "Rebibbia", dal confronto di strada tra reparti celere della polizia e anarchici che chiedevano la scarcerazione di Leonardi (14 furono i fermi).

Epperò, tanta confidenza nel segno da leggere nell'agguato di viale Libia non asciuga l'inquietudine del Viminale, al contrario la ingrassa. Nelle parole del ministro Pisanu in Parlamento, rimbalza il preoccupato quadro dell'eversione che l'Antiterrorismo è andato disegnando negli ultimi mesi e che le indagini sugli omicidi Biagi e D'Antona in qualche modo sembrano ora incardinare in circostanze obiettive, sottraendo il ragionamento all'evanescenza della semplice analisi. Ragiona una qualificata fonte del Dipartimento di pubblica sicurezza: "Viale Libia nulla c'entra con Biagi e D'Antona. Perché, sembra ovvio ma conviene dirlo, anarco-insurrezionalisti e Brigate rosse sono capitoli a sé stanti. Ieri, come oggi. Come del resto capitoli a sé stanti sono il movimento antagonista e gli anarco-insurrezionalisti. E a dimostrarlo basterebbe ricordare il vuoto che proprio il 4 ottobre, a Roma, è stato fatto intorno a questi signori proprio dal corpo vivo del corteo".

Nella sua premessa, il concetto è chiaro e spiega, se fosse necessario, il richiamo di Pisanu "a non fare di tutta un'erba un fascio" a non abbandonarsi alla strumentalità di una polemica all'ingrosso che procede all'apparentamento politico di sigle dalla matrice, il progetto e l'approdo politico diversi. Ma, evidentemente, è una premessa che non esaurisce i termini della questione. Conviene dunque ascoltare ancora la fonte del Dipartimento: "Il fatto che sul terreno si muovano, sia pure lungo traiettorie distinte, anarchici, brigatisti e sigle mosse dalla convinzione che la violenza politica sia un efficace strumento di lotta non riduce, ma semmai aumenta i rischi complessivi per la sicurezza. Sposta verso l'alto l'asticella del limite. Sollecita chi si muove in aree di opaca contiguità con la lotta e la propaganda armata a proporsi per un salto di qualità".

A ben vedere, un confine, questo, superato da tempo dall'anarco-insurrezionalismo nella sua dichiarata e teorizzata scelta di conflitto armato dalla "bassa intensità", ma dal bilancio che ora si fa di sangue. Che ha nelle forze dell'ordine e nella magistratura (gli "strumenti della repressione") i suoi naturali obiettivi. In una struttura organizzativa di tipo orizzontale un efficace labirinto in cui perdere le indagini (né in Sardegna, né a Genova, né a Roma i risultati sin qui ottenuti dalle indagini su altrettante campagne dinamitarde consentono al Viminale di tirare un qualche soddisfacente bilancio). In una ridotta consistenza numerica un tratto distintivo che non esaurisce, evidentemente, le preoccupazioni del Viminale.

Non a caso, del resto, Pisanu si spinge oggi a individuare in un "sistema di satelliti", di "sottomarche delle Br" la faglia su cui concentrare attenzione investigativa e politica. In Parlamento, il ministro non ne ripete l'elenco, ma quella corona di sigle, di potenziali emuli o eredi di quel che resta della radice brigatista appena divelta, ha nomi conosciuti. "Nac", "Nipr", "Npr", "Fac", "Filorosso", "Nta". Una foresta di acronimi dalla geografia concentrata (Lazio, Toscana, Friuli) che senza soverchia fantasia evocano un antico armamentario lessicale brigatista di cui "condividono gli obiettivi" e invidiano il "primato". E di cui le indagini di queste settimane promettono forse di illuminare almeno una delle sue più recenti componenti. I "Nuclei proletari combattenti", sigla che nel 2002 (in gennaio e agosto), rivendicò a Firenze due modesti attentati dinamitardi ad altrettante sedi dell'agenzia interinale "Obiettivo lavoro". "Se ne verremo a capo - chiosa un investigatore - forse il quadro del "laboratorio Firenze" sarà più chiaro.

Potremo davvero capire chi, con quali modalità e complici silenzi, mentre D'Antona e Biagi morivano, si offriva allora e si offre oggi alla proposta armata". Magari raccogliendo la suggestione sopravvissuta al tentativo di Lioce e Galesi e ora declinata nell'ultimo documento dei Nuclei territoriali antimperialisti come "Guerriglia metropolitana per la costruzione del fronte combattente antimperialista".

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