Da La Stampa del 08/10/2003

Dopo l'elezione del presidente imposto dal Cremlino

Cecenia, il caso è aperto

di Anna Zafesova

Le elezioni presidenziali in Cecenia non hanno prodotto nessuna sorpresa, né del resto avrebbero potuto: erano state indette per far vincere un personaggio concreto, il muftì Akhmad Kadyrov che già da due anni governava la ribelle repubblica caucasica in nome del Cremlino. Autorevoli osservatori internazionali e difensori dei diritti hanno preferito disertare la consultazione: è stato un voto in un territorio massicciamente presidiato dalle truppe russe (che hanno pure partecipato al voto), prima del quale tutti i concorrenti importanti erano stati eliminati dalla gara con pretesti più o meno formali o convinti a ritirarsi in cambio di favori da Mosca, mentre i sei illustri sconosciuti rimasti in lizza sono stati completamente oscurati dall'onnipresenza mediatica di Kadyrov. Che ha prevedibilmente trionfato con un 82 per cento, nonostante perplessità sulla partecipazione reale e conteggio dei voti.

In molti, in Russia come altrove, l'hanno definita una farsa, chiedendosi perché il Cremlino ha spinto così tanto - Vladimir Putin si è addirittura portato dietro Kadyrov nel suo recente viaggio a Washington, nonostante gli americani avessero fatto capire chiaramente di non gradirlo - per un candidato che, sebbene possieda una sua personale milizia di tremila uomini che incute paura alla popolazione quasi quanto i soldati russi, basa il suo potere solo sui kalashnikov di Mosca. Ma per il presidente russo era di importanza vitale: il Caucaso è il suo punto vulnerabile, la macchia esposta alle critiche dell'Occidente in un'immagine altrimenti tutto sommato positiva. L'elezione di Kadyrov - formalmente - toglie fondamento alle invocazioni europee e americane di una regolazione politica in Cecenia, di un negoziato con gli indipendentisti. Che non sono stati ammessi alle elezioni, se non si conta appunto Kadyrov, ex comandante ribelle passato poi dall'altra parte. Ma ora il precedente presidente ceceno, il separatista Aslan Maskhadov eletto nel '97 (in un voto monitorato e riconosciuto dall'Occidente), perde legittimità e i suoi emissari non potranno più venire ricevuti nelle cancellerie europee. Stavolta l'Ovest ha espresso cautamente perplessità, ma non ha disconosiuto il voto e d'ora in poi a qualunque appello al dialogo Mosca risponderà che i ceceni si sono eletti, liberamente, un nuovo leader legittimo.

Per il Cremlino il caso ceceno, formalmente, è chiuso. Nei fatti ovviamente non lo è: nella repubblica continua e continuerà una sanguinosa guerra-guerriglia nonostante la presenza di 80 mila soldati che nessuno ha intenzione di ritirare. I kamikaze islamisti si fanno saltare in aria sempre più lontano da Grozny. Perduta ogni dimensione politica ufficiale, la guerriglia diventerà ancora più cruenta e fondamentalista. E la pace, che la propaganda russa proclama come ormai raggiunta, sarà sempre più lontana.

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