Da Il Sole 24 Ore del 08/10/2003

Via ai grandi progetti Ue per crescere

di Adriana Cerretelli

LUSSEMBURGO - Ha fatto passi avanti ieri a Lussemburgo l'iniziativa per il rilancio della crescita europea attraverso la realizzazione di grandi reti transeuropee di trasporto e comunicazioni, combinata con massicci investimenti in ricerca e sviluppo e capitale umano. «C'è accordo unanime tra i ministri - ha dichiarato ieri al termine della riunione Ecofin il presidente della Bei, Philippe Maystadt - per dare la priorità ai progetti più maturi, immediatamente realizzabili e rapidamente finanziabili». Sul tavolo, come è noto, c'è la lista dei 29 progetti prioritari presentata settimana scorsa dalla Commissione Prodi. Tra questi il corridoio ferroviario Lione-Torino-Venezia-Trieste- Lubiana-Budapest insieme al Ponte di Messina quale terminale della Berlino-Verona-Milano-Bologna-Napoli. Sarà su di essa che, alla luce dei criteri indicato ieri dall'Ecofin, dovranno pronunciarsi i leader dell'Unione che si riuniranno al vertice della settimana prossima a Bruxelles. La scelta si annuncia tutt'altro che facile visto che un po' tutti gli attori della partita cominciano a tirare la coperta dalla loro parte. Dopo il piano Tremonti che, senza escludere il resto, pone l'accento sulle reti di trasporto, è arrivato quello franco-tedesco che invece insiste più su R&S, reti di telecomunicazioni e capitale umano. A quest'ultima iniziativa si è associata ieri la Gran Bretagna (e si dice che presto lo farà anche l'Olanda). La "triplice" è intenzionata a «promuovere i progetti prioritari che siano economicamente, tecnicamente e finanziariamente ragionevoli» si legge nel suo comunicato comune. Auspica di privilegiare il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona per rendere l'economia europea la più dinamica e competitiva del mondo entro il 2010 e quindi «gli investimenti in R&S, capitale umano, reti di telecomunicazioni e lavori di infrastrutture moderne». Precisando che «il grosso del finanziamento dovrà arrivare dal settore privato». Non basta. A far sentire alta e chiara la loro voce sono stati ieri anche i Paesi nordici - Svezia, Finlandia e Danimarca - fissando a loro volta una serie di paletti: l'iniziativa europea per la crescita non deve essere in contrasto ma in piena sintonia con il processo di Lisbona e relative riforme strutturali, «deve muoversi dentro i vincoli del Patto di stabilità», «puntare alla realizzazione di progetti con un'autentica dimensione europea», tenendo conto che «la nostra esperienza dice che fondamentali fattori di competitività sono un ambiente favorevole alle imprese e gli investimenti in R&S e innovazione». Allora piano italiano a rischio? È stato chiesto ieri a Giulio Tremonti, attuale presidente dell'Ecofin. Primo, ha risposto, il piano italiano non è limitato alle infrastrutture fisiche. Secondo, punta al necessario equilibrio tra sviluppo dell'economia della conoscenza e rispetto dei vincoli del Patto di stabilità. Terzo, è basato sull'esperienza italiana nel project-financing per la costruzione di reti ferroviarie ed elettriche. Non per R&S, che è strategica ma difficile da finanziare nel rispetto del Patto. «Non siamo dei primitivi fermi all'economia dell'asfalto. Siamo dei realisti alla ricerca dell'equilibrio tra modernità e Patto di stabilità. Senza dimenticare che con l'allargamento dell'Unione le infrastrutture fisiche sono necessarie» ha concluso piccato. Il piano avanza, tensioni e rivalità, nazionali e non, vengono a galla. Metteranno a dura prova la scelta e la realizzazione dei molti (troppi?) progetti sul tavolo. La Banca europea per gli investimenti mette a disposizione 50 miliardi di euro per le reti da qui al 2020, 40 per R&S e innovazione, uno per iniziative di venture capital. Poi ci sono i fondi del bilancio Ue. Ma per un piano da 220 miliardi di euro solo per le reti sono una goccia nel mare. A rischio allora i progetti italiani? «La Lione-Torino è un investimento enorme ma economicamente giustificato perché indispensabile per completare il mercato unico», afferma Maystadt. Però alla Bei nessuno si nasconde che per i grandi trafori delle Alpi saranno i bilanci pubblici a dover intervenire. Gli investitori privato non basteranno. E allora?

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