Da Corriere della Sera del 03/11/2003

Brigate rosse, una «staffetta» porta i documenti in carcere

Frasi del palmare della Lioce compaiono nel testo diffuso mesi dopo dalle celle

di Giovanni Bianconi

ROMA - Finora il percorso dei documenti era stato immaginato e parzialmente provato dal carcere verso l’esterno, dai «militanti prigionieri» alla «guerriglia in attività». Sulla base di quei sospetti è scattata l’accusa, per alcuni brigatisti irriducibili detenuti, di aver contribuito alla stesura della rivendicazione dell’omicidio di Massimo D’Antona, maggio 1999, quando la stella a cinque punte chiusa nel cerchio è tornata sulla scena a colpi di calibro 9 corto. Stavolta invece c’è la prova del percorso inverso: dai militanti ancora liberi (e latitanti) a quelli in carcere, i quali elaborano i loro scritti anche a partire dai contributi giunti dall’esterno e poi li diffondono con la loro firma. Sempre a sostegno dell’attività brigatista. «Meglio di noi prigionieri parlerà la guerriglia in attività, le Brigate rosse», hanno annunciato il 7 ottobre scorso nel loro ultimo proclama, consegnato al processo d’appello per la rapina con duplice omicidio in via Prati di Papa a Roma, febbraio 1987, gli irriducibili Fabio Ravalli, Maria Cappello, Stefano Minguzzi, Flavio Lori, Tiziana Cherubini, Enza Vaccari, Franco Grilli.

Prima di questa conclusione, corredata da slogan e tributi d’onore «al compagno Mario Galesi caduto combattendo per il comunismo», undici pagine fitte di considerazioni sulla situazione interna e internazionale vista nell’ottica delle «forze rivoluzionarie» e antimperialiste. Ma non tutto, di quei fogli battuti a macchina fitti fitti, è farina del sacco dei brigatisti reclusi. Alle pagine 2 e 3 del lungo documento ci sono almeno trenta righe identiche a quelle di un altro elaborato trovato dagli investigatori sette mesi prima, nel marzo 2003, all’interno del computer portatile di Nadia Lioce. Il palmare è finito nelle mani della polizia dopo la sparatoria sul treno Roma-Firenze che ha provocato la morte del sovrintendente di Ps Emanuele Petri e del brigatista Mario Galesi, e l’arresto della stessa Lioce.

Dal computer sono spuntati centinaia di files contenenti appunti teorici e pratici sull’attività e l’organizzazione delle nuove Br, nonché decine di documenti ideologici ancora in elaborazione. Tra questi ce n’è uno che parla dell’«indebolimento dello Stato nella sua azione di dominio sulla classe», molto lungo, che è stato ripreso parola per parola dai sette brigatisti detenuti nel loro proclama di un mese fa. In particolare, tra le frasi ripetute ce n’è una che ha attirato l’attenzione degli analisti dell'Antiterrorismo. E’ il passaggio in cui i «militanti prigionieri» ribadiscono l’attualità della «strategia della lotta armata» sia nella fase del «ripiegamento delle forze e dell’arretramento del proletariato», sia quando si verificano «avanzamenti dello scontro rivoluzionario, aprendo un rapporto di guerra "fin da subito" e cioè in qualunque condizione storica, anche a partire da nuclei esigui di avanguardie rivoluzionarie che lo assumono soggettivamente come proprio obiettivo, proponendolo alla classe».

Questa frase, in mezzo ad altre identiche nelle parole e nella punteggiatura, compare anche nel computer che Lioce e Galesi, già ricercati, avevano con loro sul treno in cui sono stati intercettati il 2 marzo. E’ all’interno del documento in cui si analizza la crisi delle Br dovuta alle poche forze a disposizione, nel quale si propone di introdurre delle formule di iniziazione per le reclute del partito armato e in cui si istituzionalizza la figura del brigatista «semiregolare», a metà strada tra il regolare a tempo pieno e l’irregolare part-time . Se alla fine di febbraio il testo sull’attività degli «esigui nuclei» che devono affiancare le azioni delle Br era già stato composto fuori dal carcere, significa che i detenuti l’hanno ricevuto, studiato e sottoscritto.

In questo caso, dunque, la teoria è partita da fuori ed è stata rilanciata dall’interno del carcere. A meno che il testo finito nel palmare non fosse già, a sua volta, una creatura dei «militanti prigionieri» che l’avevano sottoposto a quelli in libertà prima di renderlo pubblico. In ogni caso l’assoluta identità dei testi è la dimostrazione provata di un’elaborazione congiunta delle teorie brigatiste tra chi è in cella e chi è fuori. Anche su punti qualificanti e innovativi per la strategia della lotta armata come la «linea dei nuclei», messa a punto dalle Br nel momento della crisi.

Per gli analisti, quella frase scritta dai detenuti significava un invito all’azione immediata rivolto a tutti quei gruppi che in questi anni hanno fatto da contorno alle Brigate rosse, come i vari Nuclei «proletari» e «d’iniziativa rivoluzionaria» autori di attentati dinamitardi minori accompagnati da documenti di rivendicazione molto elaborati. Se invece, come appare ora, quelle parole sono il pensiero di chi guidava le Br dalla libertà, descrivono una linea d’azione comune tra sigle diverse (ma forse addirittura tra le stesse persone) per un comune obiettivo. In questo caso dal carcere è arrivato il «nullaosta» alla nuova strategia, con la sottoscrizione dell’invito all’azione anche per chi non è in grado di commettere un omicidio ma solo degli «attacchi tattici (cioè azioni minori, ndr ) finalizzati all’approfondimento della disarticolazione prodotta dall’attacco strategico», come si legge nel progetto di «riadeguamento politico-organizzativo» delle Br trovato a casa di uno degli arrestati dieci giorni fa.

Tutto questo avveniva prima che il blitz della polizia infliggesse un altro colpo all’organizzazione terroristica. Qualche brigatista è ancora in circolazione, così come - probabilmente - qualche manovale dei Nuclei. La risposta alla controffensiva dello Stato, avvertono gli esperti dell'Antiterrorismo, adesso potrebbe arrivare da loro.

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