Da La Stampa del 31/10/2003

Requiem per Tommaso Buscetta

di Francesco La Licata

Con il verdetto delle sezioni unite della Cassazione, che non lascia margini ad alcuna incertezza, cala definitivamente il sipario su una delle più drammatiche vicende italiane che ha visto protagonista il più rappresentativo dei nostri uomini politici, il sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti, alla sbarra e condannato in secondo grado addirittura per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli.

La Corte Suprema, annullando senza rinvio la precedente condanna a 24 anni, ha certificato l'innocenza dell'illustre imputato: un sigillo che - stando anche alle richieste dello stesso pg - prende le mosse dalla convinzione di essersi trovati di fronte ad un «vuoto probatorio», tanto evidente da aver trascinato nella logica assolutoria persino la posizione di un boss indifendibile come Gaetano Badalamenti, che tuttavia rimane in carcere perché condannato per tanti altri reati.

Ma un altro significato, forse meno evidente, si nasconde dietro alla decisione dei nove ermellini di piazza Cavour. Senza troppi giri di parole, si può concludere che il sipario cala anche su una stagione dell'Antimafia caratterizzata da un forte ricorso al pentitismo mafioso. La sentenza di ieri sconfessa il più accreditato dei collaboratori di giustizia, Tommaso Buscetta, che nell'omicidio Pecorelli aveva disegnato un movente intimamente legato ad un presunto «interesse» del senatore a vita. Questa versione è stata polverizzata da un annullamento «senza rinvio»: i giudici, cioè, non hanno neppure ravvisato la necessità di un altro processo, ritenendo così più che sufficiente il margine di certezze (sull'innocenza del senatore a vita) raccolte dall'analisi dei dibattimenti precedenti.

I pentiti di mafia avevano in precedenza conosciuto alterne fortune e ricevuto altalenante considerazione. La reputazione di Tommaso Buscetta, comunque, e non senza condivisibili argomenti, era uscita alquanto integra: fino a giustificarne eventuali «incongruità» con una sostanziale buona fede di fondo. Per questo la sentenza di ieri appare eclatante, almeno quanto lo era stata quella di Perugia che assimilava l'ex presidente del Consiglio all'infamia dell'omicidio mafioso.

Pur liberato da questo macigno lungo dieci anni, Andreotti non ha - tuttavia - chiuso i suoi conti. Un'altra tappa lo attende: la Cassazione sul processo di Palermo che lo accusa di partecipazione alla gestione di Cosa nostra. Il ricorso è stato presentato, insieme con quello della Procura generale. Il senatore non manda giù quella «prescrizione» che certifica un suo presunto coinvolgimento almeno fino al 1982 e chiede l'assoluzione totale. Con uno stato d'animo certamente più incline all'ottimismo.

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