Da La Repubblica del 02/10/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/j/sezioni/politica/polo/polo/polo.html

La sindrome del complotto contagia i forzisti. Nella sede i pochi rimasti vivono sbarrati e non si fidano l'uno dell'altro

Faide, segreti e cortigiani la parabola di Forza Italia

La diffidenza verso Casini la freddezza di An e Fini, l'appiattimento su Bossi: il premier si isola e si blinda

di Concita De Gregorio

ROMA - Alla fine è venuto il tempo della paura, dell'isolamento e dei guardiani alla porta. Di Forza Italia resta questo, alla vigilia di elezioni amministrative che due su tre degli ex generali di Berlusconi danno per perse: resta un monumento alle paure del capo ossessionato dai nemici interni - i democristiani a nove vite, forse una più delle sue - costretto ad appiattirsi su Bossi per ricacciare indietro l'Udc, gelato dalla freddezza di An, blindato nella fortezza vuota coi più fedeli maggiordomi a portare dispacci. "Al prossimo giro perdiamo il Piemonte e il Veneto", hanno sentito dire a Roberto Antonione il giorno dopo la sconfitta in Friuli. "Le prossime amministrative e le europee saranno un onere che non intendo accollarmi", pare abbia risposto Claudio Scajola a chi gli chiedeva: ma come, te ne vai dal partito così? Certo, Antonione e Scajola sono stati sconfitti dai due astri nascenti, la coppia Bondi-Cicchitto, e che dovevano dire. Ma perché poi Forza Italia sia finita nelle mani di un ex comunista voluto da Dell'Utri e di un ex socialista con tessera P2 è storia che conviene raccontare.

Brevissimo riassunto. Al principio era un partito di plastica, jingle bandiere e dietro nulla, come il set di un preserale tv. Poi venne Scajola detto il pitbull e ne fece un partito d'acciaio. Oddio: una struttura d'acciaio, diciamo. Niente di politico. Il suo mandato d'altra parte era quello: vincere le elezioni. Ci studiò un po', le vinse. Fece un bel lavoro sui candidati e sui collegi, bello nel senso di efficace, e pazienza per qualche sbavatura. Espugnato il palazzo, la mattina dopo i brindisi si trasferirono tutti al governo. Ministri, sottosegretari, presidenti di commissione: lasciarono gli uffici con le bandierine e le mappe cifrate del paese.

A ciascuno fu assegnato in premio un posto nuovo, una nuova più prestigiosa stanza. Sono passati gli anni, poi, e l'allegria dei brindisi è sparita. Sono arrivati i giorni dei tranelli, delle cordate e degli agguati. Altri brindisi: quello del giorno in cui Scajola dette del rompicoglioni a Marco Biagi, e perse il ministero. Quello, quest'estate, dei tre uomini in barca (Previti, Dell'Utri e Jannuzzi, a vela sul Barbarossa) il giorno in cui chiamò Berlusconi al telefono e disse: "Scajola è fuori dal partito, l'ho messo al governo ma senza portafoglio". Mesi torbidi, con Frattini, Pisanu, Antonione, Micciché, Formigoni, da ultimo Bondi e Cicchitto a disegnare una geografia di trame e capitrama nella corsa al più vicino al re. Ogni tanto interveniva il capo, costringeva Dell'Utri e Scajola a tavola insieme, per dire, a far finta di far pace. Fine del riassunto.

Oggi di Forza Italia è rimasta la fortezza coi videocitofoni, monumento alle paure del suo leader. "Paura di essere tradito da chi può sopravvivergli", spiegano e dunque via dalla linea di comando i vecchi democristiani che potrebbero scavargli fossati attorno, allearsi di notte col nemico. Paura mica dei comunisti, quella è propaganda. Paura degli alleati e in specie ossessione di Casini, l'erede naturale, l'unico politico che può pensare al "dopo" e intanto muoversi con relativa felpata autonomia. "Ha fatto come la Pivetti: io gli ho dato il potere e lui mi si è rivoltato contro", dice di lui il premier, e poiché ad ogni valutazione politica ne accompagna una privata aggiunge: "Da quando il suocero lo porta sulla barca di 40 metri si è montato la testa". A parte le valutazioni sui velieri, è in effetti bastato che Casini manifestasse, in privato, il suo gradimento per Scajola perché Berlusconi decidesse in un attimo Scajola no, fuori dal partito, e tutti i consiglieri dell'ultim'ora a dirgli bravo, lo vedi che quelli tramano contro di te, sono i democristiani il nostro cancro, sono i cattolici quelli che tra mille cerimonie ti preparano il piatto avvelenato.

Il principe del pensiero obliquo in chiave anti-Dc è Fabrizio Cicchitto, socialista, tessera P2 numero 945. E' a lui che Berlusconi ha messo in mano la fortezza minata dal nemico domestico: un ex socialista contro gli ex democristiani. "Bondi sarà l'uomo immagine, lo metto in vetrina. Cicchitto sta dentro e lavora", ha detto il giorno delle nomine uscendo dal comitato di presidenza. Fatale che il gruppone dei cattolici se la sia presa a male. Bondi, che anche le segretarie chiamano "il maggiordomo", è un ex comunista folgorato sulla via di Arcore dove vive con la foto del premier sul camino. Al cospetto del premier suda e impallidisce. Con Dell'Utri, suo mentore, ostenta una reverenza che sfiora la caricatura: lo ascolta parlare e sgrana gli occhi, congiunge le mani.

Cicchitto è arrivato al partito tardi, sull'onda lenta del risentimento verso "gli aguzzini del Psi di Craxi, non potevo certo andare coi pidiessini, i suoi carnefici". A Berlusconi è piaciuto subito, lo ha trovato perfetto in questo autunno del patriarca: esattamente l'uomo che serve a decifrare complotti, tastare il polso agli umori sotterranei, un occhio ai servizi segreti un orecchio ai sussurri di palazzo. Un mazarino minore, da anticamera. Evidente che Antonione e Scajola, i due predecessori, lo detestino. Gianni Letta, che lo conosce bene e non da ieri, non ama intrattenersi con lui.

Neanche questo sarebbe grave, se non fosse che si è allarmato il Vaticano: "Forza Italia è diventato un partito in mano ai laici e ai massoni, la componente cattolica è stata fatta fuori", dicono i vescovi e i cardinali. Sul tavolo del ministero di Scajola (non a palazzo Chigi, come lui sperava: una sede distaccata) una mano gentile ha fatto arrivare giorni fa un editoriale di un giornalista molto accreditato Oltretevere: spiegava che Ruini trova molto grave che i cattolici non siano rappresentati al vertice di Forza Italia, tanto grave che difatti - di lì a poco - Ruini lo ha pubblicamente detto.

La sindrome del complotto e lo stato d'assedio in cui Berlusconi vive contagia di sé tutto il partito, che del capo vive gli umori e i timori. Nelle stanze spesso vuote di via dell'Umiltà i pochi rimasti vivono sbarrati. Diffidano delle segretarie altrui. Non prendono appuntamenti se non lontano dalla vista dei vicini di corridoio. Parlarci comporta un lavoro di depistaggio che può durare giorni. Un ministro accetta di incontrarci in un bar dell'Eur, l'altro capo della città rispetto al suo ministero. Un altro prega di chiamarlo su una linea protetta di cui fornisce il numero, "mai più attraverso la segreteria per favore". Un importante presidente di commissione solitamente gioviale risponde dall'ufficio a monosillabi, e la sera richiama da casa. Paolo Bonaiuti, sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega alla consegna del microfono nelle conferenze stampa, è solito diffidare anche per scritto i colleghi forzisti dal parlare coi giornalisti non espressamente indicati da lui. Naturalmente un responsabile, mettiamo, della Farnesina non prende ordini da Bonaiuti, il quale del resto è stato ultimamente impegnato nella sua personale battaglia contro Bondi e quindi leggermente distratto. Deve spiegarsi anche così l'improvvida intervista sarda ai due inviati inglesi.

"La scelta di Bondi e Cicchitto è quella di un uomo che si vuole blindare - dice un alto esponente di governo, non più di partito - Berlusconi teme l'Udc perché sa che sta lavorando al "dopo". E' ossessionato dalla Gasparri, teme le imboscate dei suoi, Ha paura du un'emorragia di parlamentari stanchi di star lì a premere il pulsante. Qualcuno se ne è già andato, altri sono in procinto di farlo. D'altra parte l'Udc è l'unico approdo politicamente sensato per chi non condivida il Berlusconi eversivo, e pensi a sopravvivergli".

Sembrava che se ne dovesse andare Antonione, dopo lo schiaffo preso per mano di Bossi La Russa e Tremonti con la candidata Guerra, in Friuli. Berlusconi lo ha incontrato mezz'ora a fine luglio: "Della sconfitta non voglio parlare", gli ha detto. Così non ne hanno parlato. Si sospetta di Scajola, uno dei pochi ad avere un suo bacino elettorale. Ha sempre detto: "La fase che ci portò alla sconfitta elettorale del ?96 fu caratterizzata dalla forte presenza e visibilità di Previti e Dell'Utri". Ora Dell'Utri ha vinto la partita col suo Bondi, e sbeffeggia l'antico rivale nelle interviste: "Non sono molto amico di Scajola, se Berlusconi lo ha voluto al governo avrà qualche valore". Hanno sempre avuto idee molto diverse su come organizzare il partito, d'altra parte: oggi il partito "pesante" di Scajola è tramontato, si torna alla struttura leggera di Dell'Utri, allo "spirito dei club". Il pitbull stando così le cose avrebbe buone ragioni per guardare con simpatia agli amici dell'Udc, ma ha imparato la lezione e con le parole va cauto: "In Sardegna quest'estate ho condiviso con Berlusconi che in questa fase si debba rafforzare l'attività di governo", ha detto in giro. Tanto più che potrebbe anche essere per lui divertente stare a vedere cosa faranno Bondi-Dell'Utri-Cicchitto con le amministrative: è aperta la questione della lista unica, si sente anche dire che, vista la mala parata, per le comunali potrebbe non esserci il simbolo di Forza Italia sulla scheda.

Altri complimenti ai vincitori, questa volta dal Sud: "Intorno a Berlusconi sono rimasti solo fantocci incapaci di pensiero autonomo. Cicchitto gli piace perché gli racconta le chiacchiere dei parlamentari, scenari mefitici, congiurette e trame. Lui e Bondi alimentano la stagione della sua paura, ne assecondano le reazioni violente". E' un coordinatore regionale che parla, per il momento ancora in sella. "Adesso partiranno le vendette, faranno saltare tutti gli uomini di Scajola. Dell'Utri avrà la sua rivincita, ma in Sicilia l'Udc ha già superato Forza Italia.

E Berlusconi cosa fa? Nessun cattolico alla guida del partito, nessun uomo del Sud. E' sotto schiaffo dei centristi, sotto ricatto della Lega. E' assediato, e comincia a sbagliare". Dicono che il nuovo portavoce sarà il milanese Paolo Romani, uomo azienda della prima ora. Sono in corsa anche Nando Adornato e il senatore Lucio Malan, molto dipende da come andrà il voto sul ddl Gasparri di cui Romani si sta occupando come relatore a tempo pieno. Ai ciellini ha dato guerra per anni, Formigoni ha fatto di tutto perché Berlusconi glielo togliesse dalla Lombardia. Romani non è un Bondi né un Cicchitto, chissà se i vassalli lo lasceranno passare.

E chissà se lo saluterà con parole di benvenuto Giuliano Ferrara, ultimamente così ispido col premier eppure tra gli ultimi ad essere ancora ascoltato lassù in fortezza. Berlusconi lo ha chiamato il giorno dopo aver letto il fondo intitolato "Chi non sa scusarsi è un debole". Si parlava delle goffe scuse alla comunità ebraica dopo l'elegia del fascismo. "Mi scuso di non essermi scusato", gli ha detto Berlusconi. Che si dica tutto, ma non che è debole. Né spaventato, né assediato. Lo attaccano, perciò è solo legittima difesa. E poi quel Casini è un ingrato. E poi ha visto lungo Cossiga a dire che siamo alla resa dei conti.

Trentacinque franchi tiratori, ieri sera, alla Gasparri: non ci si può fidare di nessuno. Sarà bene controllare i telefoni, attivare le telecamere a circuito chiuso, mandare Bondi in tv e mettere Cicchitto di guardia, a fare la ronda.

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