Da La Stampa del 30/09/2003

La trovata più felice? Il «care amiche». La scivolata mediatica? Deglutire quando non doveva

Lo spettacolo vivente al gran bazar dei sogni

di Filippo Ceccarelli

Fiori e fogli, nel video presidenziale, fogli e fiori. Forse secchi, questi ultimi, non si capiva bene. Ma c’erano. I fogli evocavano la necessità matematica, l’urgenza addirittura scientifica, di un intervento sulle pensioni. Il mazzo di gladioli, al contrario, in secondo piano rispetto al leader che alle 20 e 30 decideva di interrompere la routine del palinsesto, aveva il senso di addolcire il messaggio, recando con sé una qualche deroga gentile, forse addirittura la promessa di una speranza per il grande pubblico di chi si sente, obiettivamente, almeno un po’ fregato dalla riforma berlusconiana.

La tenda calante di damasco d’oro e la sedia di broccato rosso, seduto sulla quale ha parlato il presidente Berlusconi, facevano parte di quella scontatissima scenografia che la gente di televisione definisce, con qualche tecnologica superiorità, «istituzionale». In compenso, il linguaggio del Cavaliere puntava smaccatamente ad abbattere le distanze tra lui e i telespettatori. Con il prevedibile successo. E se la penna che il Cavaliere ha maneggiato per una decina di minuti è servita a tenergli saldo il baricentro, quel «Care amiche» con cui a un certo momento si è rivolto alle donne che lo stavano guardando è stato forse il momento più alto della performance.

Il più basso - ma non è detto - è stato l’attimo in cui, prima di rivolgersi ai «cari amici», il presidente Berlusconi ha palesemente deglutito, per giunta fuori tempo, anche se con immediato recupero gorgogliante. La gestualità è stata come al solito perfetta; il sorriso - quando ha ricordato che si vive di più - ha funzionato con la consueta efficacia; non male l’ultima parte dello spot, allorché è parso rivolgersi soprattutto al suo mondo per chiedere una specie di delega in bianco, «fidatevi di me», ma accompagnando il tutto con le mani giunte.

Il trucco era ok. Gli occhi sono risultati forse troppo piccoli e neri, almeno per un annuncio poco festevole. Troppo al ribasso, per un pubblico forse più avveduto di quanto il Cavaliere continui a credere, l’accostamento dello Stato a «una famiglia». Di sicura resa - ma di spaventosa genericità - la definizione della riforma come «giusta», «saggia» e «necessaria».

Si dirà: la potenza delle televendite. L’ineluttabilità del modello Aiazzone. O peggio: Vanna Marchi. E sarà anche quello il format, ma ormai Berlusconi è su piazza da tanti anni, come protagonista, e le istituzioni hanno fatto a tempo ad adeguarsi ai codici della pubblicità. Il messaggio deve tener conto di una grammatica persuasiva che è quella. Non è pensabile che si possano propinare agli italiani i discorsi di Rumor.

Più in generale: Berlusconi resta un prodigio di comunicazione televisiva: «Invincibile nelle partite di immagine e di suono» ha scritto un sublime antipatizzante come il professor Franco Cordero. Uno straordinario regista di se stesso, consapevole di essere spettacolo vivente, e in qualche caso addirittura ipnotico, del potere. Si ripensi al Berlusconi della scesa in campo, quello dell’«Italia è il paese che amo», al Berlusconi delle corna, delle lacrime per gli albanesi, dell’ostensione della microspia, delle coccole alla mamma, dell’ispirazione giardiniera, delle pacche sulle spalle di Bush, dello shopping in gioielleria, del vittimismo calcistico, delle schitarrate con Apicella.

Bene, adesso c’è pure questo Berlusconi che dice, senza dirlo: povere le vostre pensioni. E magari pensa che bastino appena dieci minuti in tv, per convincere. Quando la convinzione, anche per merito suo, è divenuta entità relativa e fuggevole, prova d’acquisto a rischio costante, dubbio perfino vantaggioso nel mercato dei sogni.

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