Da La Repubblica del 26/09/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/i/sezioni/politica/telekomserbia3/caso/c...

Tutta la rete di faccendieri, trafficanti, ex spie sulla quale si basa l'inchiesta parlamentare

Telekom Serbia storia di una trappola

di Carlo Bonini, Giuseppe D'Avanzo

QUEL che segue è la storia di una trappola. Dei suoi protagonisti, delle coincidenze che vi si rintracciano, dei percorsi seguiti per costruire la diffamazione contro Prodi, Fassino, Dini trascinati dinanzi all'opinione pubblica come corrotti dall'"affare Telekom". È una storia che, se non fosse penosa, sarebbe grottesca perché, seguendone i fili, ci si potrà finalmente rendere conto di come (e in base a che cosa) esponenti della maggioranza di ritorno da Villa Certosa, residenza estiva del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (una coincidenza, senza dubbio), hanno potuto suggerire il coinvolgimento nell'affare del capo dello Stato. È una storia che sarebbe incredibile se non la si potesse documentare con le parole del presidente della Commissione d'inchiesta, Enzo Trantino, ritenuto "un gentiluomo". Una formula convenzionale che in Italia indica una persona dabbene e candida fino all'ingenuità. Vedremo se Trantino è l'uno o l'altro. O l'uno e l'altro.

La possibilità di mettere le mani su qualche brandello di verità muore presto in "Commissione Telekom". 8 gennaio 2003. Un "anonimo" indica alla Commissione di cambiare strada. "La pista da seguire non è quella dei mediatori Vitali/Maslovaric. Per trovare i politici, andate prima in Gran Bretagna e poi a San Marino...". Già nell'inchiesta di Repubblica (febbraio 2001), le mediazioni appaiono il modo - forse il solo - per sbrogliare l'intrico dell'acquisizione del 29 per cento della telefonia serba da parte di Telecom Italia. È una strada promettente che chiede la volontà del parlamento di fare luce, senza pregiudizi: è proprio l'ingrediente che manca per fare buona la minestra. Il fatto è che alla Commissione di Enzo Trantino, An, non interessa ricomporre il mosaico dell'affare italo-serbo con la fondatezza di fatti accertati con equilibrio. L'obiettivo della maggioranza e della Commissione è un altro: far girare le ruote di una trappola politico-mediatica, capace di distruggere immagine e credibilità del presidente della Commissione europea; del leader del maggior partito d'opposizione; dell'ex ministro degli esteri.

* * *

1. (Dove si dà conto di qualche bugia di Enzo Trantino e di un misterioso elenco di nomi)

Enzo Trantino appare pacato, a incontrarlo in veste ufficiale. Conversare con lui è anche piacevole, se si sa dimenticare l'eloquio retorico di cui l'uomo si autocompiace. Repubblica lo intervista il 21 maggio 2003. Il "presidente gentiluomo" ha voglia di dire, di spiegare. Ben venga. Sostiene che non è stato "un unico anonimo" a indirizzare i lavori di indagine della Commissione verso Igor Marini e dunque contro Prodi, Fassino e Dini. Dice che gli anonimi sono due: "È bene spiegare che i due anonimi ricevuti dalla Commissione parlavano dell'avvocato Fabrizio Paoletti e non di Marini. È stato l'avvocato Fabrizio Paoletti a farci il nome di Marini".

"I due anonimi...". "È stato l'avvocato Fabrizio Paoletti a farci il nome di Marini": sono due affermazioni che non corrispondono al vero. Quando Enzo Trantino si muove, ha in mano soltanto un anonimo (tra un po' vedremo anche chi lo ha spedito). È l'anonimo che giunge a Palazzo San Macuto, sede della Commissione, l'8 gennaio 2003. Invita i parlamentari ad allontanarsi dai "mediatori", dunque dalla sola traccia a disposizione della Commissione. All'anonimo è allegato la "prova" del percorso di quella tangente: il prospetto di un impegno di pagamento, attraverso lo Ior, di 36 tranches da 512 mila dollari su conti della Cassa di Risparmio di San Marino. Il prospetto è firmato dall'avvocato Paoletti.

Sono accuse di carta che risultano molto convincenti per il "presidente gentiluomo". Senza attendere il secondo anonimo (che arriverà soltanto il 4 febbraio, sette giorni prima del terzo, 11 febbraio), convoca Fabrizio Paoletti. Con urgenza. L'avvocato è interrogato il 14 gennaio. Il canovaccio della grande trappola è in questo interrogatorio. Nero su bianco. Pubblico e accessibile a tutti nel sito http://www.parlamento.it. Sono 17 pagine di botta e risposta che svelano la trama con le parole di chi è chiamato a condurla. Vediamo.

Se si tiene conto delle sue parole, Enzo Trantino non sa (è il 14 gennaio) chi è Igor Marini. Ne ignora l'esistenza e d'altronde il cacciaballe che lavora ancora come facchino al mercato ortofrutticolo di Brescia apparirà al proscenio di San Macuto soltanto il 7 di maggio, quattro mesi dopo. E il pm romano, che di Marini si è occupato e su di lui indaga in quel momento, Beatrice Barborini, sarà ascoltata in commissione solo il 12 febbraio, un mese dopo l'interrogatorio di Paoletti.

Trantino mette le mani avanti: è stato Paoletti a fare il nome di Marini. Non è così. Quel 14 gennaio, a un Paoletti frastornato, viene mostrato il prospetto allegato all'anonimo dell'8 gennaio. Paoletti riconosce la carta, ne spiega la falsità, nega di avere conti a San Marino. Non fa nomi. Il presidente Trantino allora lo interrompe e gli chiede: "Lei conosce Marini Igor"? (pagina 29 della trascrizione ufficiale della seduta del 14 gennaio). Non è dunque Paoletti a fare quel nome, ma Trantino. Perché? Come fa il presidente a sapere, già il 14 gennaio, il nome che sarà "uomo chiave" o "uomo boomerang" dell'affare? Per quale divinazione Trantino conosce l'esistenza di "Marini Igor"?

Il presidente dunque bluffa. Non è il solo bluff. Altre favole e cabale devono essere nascoste dietro le curiosità del "presidente gentiluomo" perché le domande che egli pone a Paoletti si muovono con un background ignoto lungo un percorso incomprensibile, e non si tratta soltanto di Igor Marini. Viene chiesto a Paoletti se conosce il signor Questo o il signor Quello. Da dove saltano fuori quei nomi? Chi li ha suggeriti a Trantino e perché il presidente li suggerisce? Sostenuto da Carlo Taormina, Trantino chiede a Paoletti: chi è tal "D'Andria Renato"? Chi è "Rubolino Giorgio"? "Ha mai conosciuto tali Salvatore e Nicola Spinello?".? E Taormina, di suo, aggiunge: "Conosce tale Curio Pintus?". E poi: "Conosce Robelo, ambasciatore del Nicaragua in Vaticano?". (Ne sbaglia il nome, lo chiama Ropledo).

L'elenco di nomi stupisce e confonde. E' difficile trovare la ratio o le informazioni che spingono il "presidente gentiluomo" e l'avvocato con la passione per le manette (Taormina ha chiesto l'arresto di Prodi, Fassino e Dini) a rammentare questa rosa di nomi. Sarebbe un errore, però, lasciare cadere la circostanza. Proprio questi nomi raccontano chi sono "i manovali" messi in movimento da chi ha organizzato e coordinato la grande trappola. È sufficiente sbrogliare le biografie dei personaggi, evocati da Trantino in aula a San Macuto, per cominciare a intravedere un ordito.

* * *

2. (Dove si spiega chi sono "i manovali" che incuriosiscono Trantino e da quale oscuro passato emergono)

Trantino chiede di Renato D'Andria. Chi è? È un commercialista napoletano. Il 10 luglio del 2001 gli investigatori della Dia (Direzione antimafia) lo arrestano perché sono in grado di documentare come l'uomo con il pallino degli affari, che truffava sui fondi Cee e voleva mettere le mani sulle autostrade cisalpine, chiedesse alla sua squadra "privata" di carabinieri (tra loro un colonnello e due sottufficiali) di costruire dossier falsi "contro imprenditori nemici, rivali in affari, rappresentanti delle istituzioni come carabinieri e magistrati", nonché uno scartafaccio diffamatorio contro l'allora sottosegretario al ministero dell'interno Massimo Brutti. Scrivono i magistrati napoletani che la "squadra" organizzata da D'Andria è "una intelligence deviata capace di penetrare nei gangli delle istituzioni ad altissimi livelli, inquinare le indagini, attingere informazioni riservate negli archivi dell'Arma, ostentare familiarità con i servizi segreti nazionali e stranieri". D'Andria - accerta l'inchiesta - ha avuto rapporti con il defunto "Arkan", la "tigre" serba responsabile di crimini contro l'umanità nel conflitto bosniaco. E ne intrattiene con l'eversione neofascista italiana (in particolare con Maurizio Boccacci, leader del Movimento Politico Occidentale).

"È una macchina da guerra - scrive la procura di Napoli - per abbattere il sistema e metterlo a tacere con campagne di stampa". Il "sistema" è il governo di centro-sinistra. Le "motivazioni" sono nella conversazione intercettata tra D'Andria e il "suo" colonnello dei carabinieri Pietro Sica. "La motivazione ideologica - dice l'ufficiale dell'Arma - è questa. Questi magistrati di merda a noi ci hanno sempre fatto il culo e noi siamo diventati loro nemici. Voi (si intende D'Andria) mi dovete dare questa collaborazione. Perché quelli che sono i futuri governatori d'Italia vogliono ovviamente conoscere tutto di tutti per sapere chi è affidabile e chi meno...".

E quel Robelo che rende inquieto Taormina? Lo si ritrova in un'indagine della Procura di Aosta del 1995. Alvaro Robelo, massone, è stato ambasciatore del Nicaragua in Vaticano, correrà per le presidenziali del suo Paese con un partito clone di Forza Italia. "Arriba Nicaragua", Forza Nicaragua. Ora, è interessante notare che nell'inchiesta di Aosta, il nome di Alvaro Robelo si intreccia con i commerci di Gianmario Ferramonti, personaggio singolare e dai singolari interessi, telefonicamente rintracciabile, in quel 1995, attraverso la "batteria" del Viminale.

La Guardia di Finanza accerta che Ferramonti va informandosi di presunte "partite di denaro libico trattate dalla signora Dini". Non solo. Intercettato, il 20 novembre 1995, è al telefono con Domenico Presacane. Parla di Romano Prodi. Della sua gestione dell'Iri. Della necessità di "portare in tribunale i libri contabili con i bilanci consolidati Iri". È il 1995. L'affare Telekom Serbia si chiuderà soltanto due anni dopo, ma Ferramonti, che racconta a Umberto Bossi di essere vicino ai servizi segreti, vuole già colpire il "grande traditore del ribaltone" (Dini) e il futuro antagonista di Berlusconi (Prodi). Potrebbe già bastare. E tuttavia la bulimia accusatoria ha reso impaziente Enzo Trantino. Pare che tocca a lui mettere in moto, presto, subito, la macchina dei sospetti. Il presidente squaderna un rosario di nomi ed è utile vagliarlo. Il "presidente gentiluomo" chiede a Paoletti il 14 maggio: "Ha mai conosciuto tali Salvatore e Nicola Spinello?". Chi diavolo sono? La risposta è negli archivi. Sono padre e figlio, sono massoni. Hanno fondato "Uniti nella libertà", una loggia spuria che - accerterà l'indagine che li porta in carcere - ha quale obiettivo il "condizionamento dell'attività parlamentare". Quando li arrestano, gli investigatori scoprono che nel 1991 Salvatore Spinello si è messo "a disposizione di Cosa Nostra per rimuovere Giovanni Falcone". La loggia degli Spinello, con un forte radicamento a Catania, si appoggia nella Capitale a una società, la "Pragma", in via Prati della Farnesina. "In quegli uffici - annotano i magistrati - si riuniscono settori deviati dei servizi segreti". Sulla testa del povero Paoletti, il 14 gennaio, Enzo Trantino fa piovere anche i nomi di Michele Amandini e dell'avvocato Vittore Pascucci. Su di loro, vale la pena ricordare quanto scritto dal pm romano Francesco Polino, che li manda a giudizio il 14 febbraio di quest'anno per una truffa che è la "madre" della balla da 120 milioni dollari cui si ispirerà Igor Marini nelle sue "rivelazioni". Amandini e Pascucci sono due truffatori, "impegnati a introdurre e impiegare nel territorio dello Stato italiano, falsi strumenti finanziari utilizzati per ottenere linee di credito dal sistema bancario". Nella storia di Vittore Pascucci, avvocato, c'è un altro elemento non trascurabile: è l'uomo che nel 1996 tenta di screditare Stefania Ariosto, testimone nei processi Previti/Berlusconi, accusandola di avergli consegnato "titoli falsi".

Si può ora tirare qualche filo perché appare finalmente chiaro che cosa unisce quei nomi evocati, come una scarica di fucileria, da Enzo Trantino. Gli elementi di identità in quelle storie oscure sono visibili e così evidenti da poterli quasi toccare. Il comune denominatore è in alcuni tratti: sono uomini alla rovina che non hanno più nulla perdere perché hanno già perduto tutto; sono truffatori che organizzano virtuali giostre finanziarie in giro per il mondo; si presentano come collaboratori dei servizi segreti, o forse in alcune occasioni lo sono davvero. Comunque sempre hanno un rapporto con ambienti del neofascismo, con gli apparati della sicurezza, spesso con la massoneria. Tutti hanno un passione irresistibile per i dossier falsi da usare contro gli avversari. Tra loro, c'è chi ha già svelato di volerne costruire contro Prodi, Dini, i governi del centro-sinistra, i magistrati, i testimoni sgraditi.

È forse giunto il tempo che Enzo Trantino spieghi per quale ragione, grazie a chi e a quali informazioni, propose quei nomi opachi a San Macuto. Dovrà spiegare, ad esempio, perché chiese di Giorgio Rubolino. Accusato dell'omicidio del giovane giornalista de Il Mattino Giancarlo Siani, scagionato, diventato "operatore finanziario" (truffatore finanziario), arrestato a Londra, viene trovato morto nel suo appartamento in agosto. Pochi credono a una morte naturale o a un suicidio e la procura di Roma ha disposto la riesumazione del cadavere. Che c'entra Rubolino con Telekom Serbia? Perché Trantino è incuriosito da Rubolino?

* * *

3. (Dove si spiega come dalla rosa dei "manovali" viene estratto il nome di Antonio Volpe)

Quel 14 gennaio, il primo nome in cima alle curiosità di Trantino è un tale che si chiama Antonio Volpe. Trantino chiede a Paoletti: "Conosce tale Volpe Antonio?". Paoletti risponde: "Sì, ha comprato il castello di una mia cliente ma non ha pagato il prezzo". Trantino insiste: "Con il signor Volpe ha mai curato transazioni finanziarie?". E Paoletti: "No, abbiamo tentato di occuparci di contratti".

Trantino (dice lui) ha in mano soltanto l'anonimo dell'8 gennaio: e allora da dove salta fuori il nome di Volpe? In quella lettera, nell'allegato prospetto finanziario non c'è. Dall'insistenza del "presidente gentiluomo" è ragionevole concludere che ancora una volta bluffi e che sappia di Volpe vita e miracoli e, soprattutto, disponibilità e intenzioni. È utile spiegare chi è Antonio Volpe (in questa pagine si potranno leggere alcune biografie dei "manovali" chiamati a raccolta a San Macuto).

Chi conosce Antonio Volpe è accanto a Trantino. Si chiama Guido Longo, è un ex capo centro della Dia, oggi incaricato dal Viminale a fare l'ufficiale di collegamento tra il Dipartimento di pubblica sicurezza e la Commissione Telekom. Guido Longo ha arrestato per mafia Volpe a Palermo. Sa che è un brutto soggetto. Sa che è un truffatore. Per questo, gli ha messo le mani addosso. Non è il solo guaio sul groppo dell'uomo.

In un'indagine della Procura di Roma, Antonio Volpe appare impicciato con Francesco Pazienza mentre lo spione piduista è impegnato a costruire, con la complicità di alcuni poliziotti, un falso dossier contro il capo della polizia Gianni De Gennaro e Luciano Violante, per costringere l'allora presidente della Camera a intervenire sui giudici di Bologna e riaprire il "caso Pazienza". Di dossier avvelenati, Volpe ha una buona esperienza. Nel 1993, quando lavora alla Camera dei deputati come "collaboratore per la sicurezza esterna" del presidente della giunta per le autorizzazioni a procedere, Gaetano Vairo, viene accusato da Bettino Craxi di essere un mestatore. Scompare, ma non cambia mestiere. Nel '98 fonda a Roma l'associazione "White Helmets Europe", opaco "braccio europeo" di una fondazione madre con sede in Argentina. Nel comitato consultivo dell'associazione siede Loris Facchinetti, ex estremista di destra. E del resto, con una certa destra Volpe ha consuetudine. Non è un segreto la sua amicizia, dal 1989, con un altro estremista nero, Marco Affatigato. Alla "White Helmets" appartengono un centinaio di soci, per lo più ex uomini delle forze dell'ordine. Volpe, che ne è presidente, ama vantarsi di "lavorare con le istituzioni". Lo fa anche con l'avvocato Fabrizio Paoletti che conosce alla fine degli anni '90. Dice Paoletti: "Si presentava con un ufficiale dei carabinieri che diceva fosse suo fratello".

Sicurezza e truffe, a Volpe interessano anche quelle. Nell'87 è sotto inchiesta per falso monetario. Ancora nell'87, finisce in manette perché in possesso di falsi certificati di deposito. Nel '93, l'accusa di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio. Le caratteristiche necessarie per ricevere l'attenzione di Trantino ci sono tutte, dunque: truffatore internazionale, amico di qualche spione, finto spione egli stesso, calunniatore. Facciamoci raccontare le mosse di Volpe da un suo ex sodale: Giovanni Romanazzi, oggi a Bangkok, dove è riparato a fine giugno per sottrarsi - dice - alle minacce e alle ricadute di Telekom Serbia, a cui è estraneo.

Racconta dunque Romanazzi: "La mattina del 7 gennaio 2003 mi arriva una telefonata di Antonio Volpe. Un amico comune mi aveva avvertito che mi stava cercando urgentemente per notizie che mi riguardavano. Mi dice: "Ciao, come stai.... Ho bisogno di sapere cosa c'entri con la società Lannock, perché i miei amici, servizi e commissione, stanno indagando sulla società ed è spuntato il vostro nome collegato all'ordine di pagamento dello Ior che avevamo controllato tempo fa... Mandai immediatamente una mail di spiegazione".

Il significato della conversazione va decrittato. Cominciando con il ricordare quel pezzo di carta (il prospetto) arrivato in Commissione l'8 gennaio. Che prevede 36 tranches di pagamento da 512 mila dollari ciascuna in partenza dallo Ior e destinati a san Marino. Bene, il 7 gennaio, vale a dire il giorno precedente all'arrivo in Commissione dell'anonimo che aprirà la sconcia danza, Volpe dice di essere già al lavoro "con gli amici della commissione e i servizi" su documenti e società. Quali? Guarda caso esattamente quella (la Lannock) che figura nel prospetto finanziario dello Ior allegato all'anonimo dell'8 gennaio. Lo stesso che Trantino mostrerà a Paoletti durante la sua audizione. Dunque? Trantino ancora una volta non ha raccontato la verità e finalmente si comprende chi è l'estensore dell'anonimo che innesca la trappola. E' Antonio Volpe. Romanazzi offre un'ulteriore circostanza che sembra cancellare ogni dubbio: "Del prospetto finanziario arrivato con l'anonimo in Commissione giravano diverse copie. Una l'aveva Paoletti, un'altra il sottoscritto, un'altra Igor Marini e una quarta Antonio Volpe. Voi che dite, chi l'ha mandato?". Antonio Volpe, suggerisce Romanazzi.

Nel canovaccio della Grande Trappola, tutto sembra filare liscio. Paoletti è finito sulla graticola il 14 gennaio. Marini è apparso sulla scena il 7 maggio e ha avuto campo libero. Lo schiacciasassi delle "rivelazioni" si è messo il movimento. Nessuno, il 31 luglio, eccepisce, quando Volpe bussa a San Macuto vestendo i panni del mite ambasciatore incaricato di consegnare un dossier che "prova le accuse di Marini". Il Giornale lo intervista con clamore: è addirittura "il supertestimone".

Ma c'è un piccolo inconveniente in cui incorre Volpe, e i suoi mandanti non gliene saranno grati. In quello scartafaccio consegnato dal presidente degli Elmetti Bianchi, l'inserimento delle abbreviazioni "mortad." (Prodi) e "ranoc." (Dini) accanto a presunti ordini di pagamento è palesemente falso come ha accertato la Procura di Torino e come svela L'espresso oggi in edicola.

Bisogna ora riepilogare. La Commissione del "presidente gentiluomo", in gennaio è già pronta a utilizzare una serie di personaggi dalle stesse biografie e caratteristiche che possano (perché già lo hanno fatto in passato) costruire da un falso finanziario virtuale, organizzato a scopi di truffa, una calunnia politica. Da questa rosa viene estratto il nome di Volpe. Il suo giro aveva già pronto lo scartafaccio cartaceo di una truffa, nota agli investigatori come il "rolling program", programma di finanza virtuale per la raccolta di liquidità sulle piazze finanziarie. Era sufficiente trovare un testimone sufficientemente disperato da essere disponibile a dire che quei soldi virtuali (ovviamente inesistenti) erano una tangente pagata a leader politici (Prodi, Fassino, Dini). Il disperato lo si è trovato in Igor Marini, precipitato dalle promesse di una luccicante vita di conte-attore al facchinaggio in un mercato di ortofrutta. Il resto doveva essere lavoro dei politici della maggioranza in commissione e del sistema mediatico controllato dal Cavaliere presidente del consiglio. Il gioco era fatto. Perché le rogatorie in Indonesia e Stati Uniti, i paesi dove portava il falso virtuale, avrebbero impiegato mesi se non anni. Tempo sufficiente per un efficace, definitivo killeraggio politico.

Una banalità fa saltare il gioco per aria. Marini vede distrutte le prime tre balle (il piano di pagamento dello Ior; le garanzie su titoli di un ordine ecclesiastico inesistente; la negoziazione di una garanzia per un rubino depositato a Jakarta). Punta allora tutto sulla quarta e piazza 120 milioni di dollari (la consistenza della tangente presunta) nell'unico luogo da cui doveva star lontano. Il Principato di Monaco. Qui, sono al lavoro un paio di giudici, che alle rogatorie danno risposte in pochi giorni. Se non, a volte, il giorno stesso: il principe Ranieri non vuole truffatori tra i piedi a rovinare la sua ricca piazza finanziaria. La Procura di Torino può così accertare rapidamente che Marini ha mentito su tutto.

Lasciamo quindi quel povero cacciaballe al suo destino. Non è più lui al centro del viluppo. Al cuore della storia c'è a questo punto una domanda: chi, alla fine del 2002, invita a raccolta calunniatori professionali, pescati in ogni angolo di Italia? A Palermo, a Torino, a Roma, a Napoli, La Spezia?

* * *

4. (Dove si racconta qualche coincidenza e ci si chiede se cinque coincidenze fanno un indizio o soltanto una somma di coincidenze)

Renato D'Andria è al lavoro a Napoli e a Torino. Antonio Volpe si muove a Palermo e nella Capitale. Curio Pintus (è un altro dei nomi cari a Taormina, vedi scheda) lo beccano a Lucca e agisce a Milano. Giammario Ferramonti si aggira nelle valli della Lega e lo si vede nei dintorni del Viminale. È ragionevole chiedersi quali sono le connessioni tra questi uomini, chi può aver fatto da nesso o collegamento. Difficile resistere alla suggestione delle coincidenze.

Carlo Taormina è egli stesso una deliziosa coincidenza in quest'affare. Difende come avvocato D'Andria. Lo fa minacciando: "Il mio assistito ha parlato degli interventi anomali nell'accaparramento degli appalti che riguardano la sinistra, di una grossissima operazione di pochi anni fa che riguarda l'Iri. Molte persone devono preoccuparsi" (Milano, 19 luglio 1999). Taormina è il difensore di un imputato (Roberto Fracassi) del falso "dossier Violante" in cui è stato indagato Antonio Volpe. E' avvocato dell'imputato Giuseppe Di Bari nel processo per la truffa virtuale nel Principato di Monaco a cui si ispira Igor Marini per le sue balle. Coincidenze, come ovvio.

È una coincidenza, anche, che quando Ferramonti (ricordate, Alvaro Robelo l'ambasciatore del Nicaragua?) si dà da fare già nel 1995 per costruire dossier falsi contro Prodi e Dini lo si rintracci ospite in casa di Gianpiero Cantoni. Chi è? Ex presidente della Bnl, oggi senatore di Forza Italia, columnist de Il Giornale e, naturalmente, influente membro della Commissione Telekom. Coincidenza.

Alfredo Vito, infine. Bella storia la sua. Tangentista confesso, ora implacabile inquisitore, con asprezze degne di un Andrei Januarevic Vysinskij. Il Riformista ha svelato che Vito "è tra gli amici" di Antonio Volpe. Ne è venuto fuori un parapiglia. Vito, indignato, smentisce e querela. Spiega di aver incontrato Volpe soltanto una volta in luglio. Quando quell'altro insisteva per consegnargli un dossier che avrebbe poi dato a Trantino (abbiamo visto come Volpe si vantasse di frequentare San Macuto fin dal 7 gennaio e non da luglio). Alfredo Vito non la racconta tutta. Il 4 settembre, con Antonio Volpe, Alfredo Vito è stato fermato e identificato dalla Guardia di Finanza in un bar di piazza san Silvestro a Roma. Non si comprende l'omissione del tangentista fattosi inquisitore. In fondo è soltanto una coincidenza che conosca Antonio Volpe e che lo incontri. Una, due volte, che importanza ha?

Dicono qualcosa queste coincidenze? Forse soltanto che, nella Commissione Telekom, c'è qualche (possibile) trait d'union tra le vite disperate, così uguali e così lontane, che si sono improvvisamente affollate a San Macuto, pronte a trasformare un virtuale e truffaldino falso finanziario in una calunnia politica. Sono ora espliciti i traffici di Antonio Volpe, sgonfiate le panzane di Marini, più chiare le mosse oblique del presidente Enzo Trantino. E' allo scoperto il network di contatti di Carlo Taormina, al centro di un sistema che tocca in basso, molto in basso, un tipaccio come Renato D'Andria e in alto, molto in alto, addirittura il presidente del Consiglio. La Grande Trappola svela la sua trama, i manovali, i manovratori. C'è ancora filo da tessere. Chi sono i burattinai, e quali saranno ora le loro mosse?
Annotazioni − Hanno collaborato Ettore Boffano e Alberto Custodero

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