Da Corriere della Sera del 17/09/2003
Veto americano alle Nazioni Unite sul caso Arafat
Per gli Stati Uniti la risoluzione presentata dalla Siria era «squilibrata»
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Battaglia all'Onu su Arafat. L'America ha posto il veto a una risoluzione che vieta a Israele di espellere il presidente palestinese. Lo ha fatto perché la ritiene «inutile», spiega l'incaricato di affari James Cunningham e perché «non denuncia il terrorismo». Ma al tempo stesso, l'America incomincia a premere su Israele perché cessi la costruzione di insediamenti nei territori occupati. Annuncia che potrebbe revocare i prestiti per gli insediamenti fuori dai confini precedenti la guerra del '67 detraendoli da quanto già versato. Non esclude neppure una misura contro «il muro di difesa», la rete di divisione dalla Palestina che viene eretta dagli israeliani.
E' un equilibrio delicato tra l'appoggio a Israele e lo sforzo di rilanciare i negoziati di pace. Con il veto alla risoluzione dell'Onu, stilata dal delegato palestinese Nasser al Kidwa, l'America si espone all'accusa di complicità con il premier israeliano Sharon. Prendendo posizione contro gli insediamenti e «il muro di difesa», segnala di volere sbloccare l'impasse negoziale. Ma non è la svolta dell'amministrazione di Bush padre, che tolse gli aiuti a Israele per spingerlo alla pace.
Bush figlio si muove con esitazione, tanto che il suo ministro del tesoro John Snow, in visita a Gerusalemme, non sfiora la questione degli insediamenti nel colloquio con Sharon.
A scatenare la battaglia all'Onu è la Siria, l'unico membro arabo del Consiglio di sicurezza. Dopo trattative dietro le quinte, la Siria ritocca la risoluzione e la presenta al voto al mattino. La risoluzione esige che «Israele, potenza occupante, abbandoni ogni atto teso a espellere Arafat e cessi di minacciare la sua sicurezza». Esprime anche «il pieno appoggio agli sforzi di pace del quartetto Onu, Ue, Usa e Russia» e si appella a israeliani e palestinesi «affinché ritornino alla road map».
Infine, manifesta «gravi preoccupazioni per gli attacchi delle due parti che causano enormi sofferenze a vittime innocenti». E' una risoluzione che si può approvare, dice la Francia. No, ribatte l'America, «è squilibrata».
E' squilibrata, afferma Cunningham, perché il problema più serio in Israele e in Palestina è il terrorismo, e non se ne parla. Ci vuole una risoluzione che lo denunci e che imponga la ripresa dei negoziati sulla «road map». Terje Roed Larsen, il mediatore Onu per il Medio oriente, obbietta che anche il problema di Arafat è serio. Il delegato israeliano Dan Gillerman ribatte che il presidente palestinese «è un terrorista professionista» e non ci possono essere perciò compromessi.
Alla Casa Bianca, il portavoce Scott McLelland ignora il braccio di ferro all'Onu per soffermarsi sulla possibile riduzione dei prestiti per gli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gaza. Dichiara che «la decisione finale spetta al segretario di stato Colin Powell». Ma fa capire che il presidente Bush non ha ancora approvato un'altra riduzione dei prestiti a causa del «muro di difesa». Da indiscrezioni della Casa Bianca, negli accordi con Israele c'è una clausola che consente agli Stati Uniti di ridurre i finanziamenti in casi come questi. Ma ciò non significa, precisa il ministro John Snow a Gerusalemme, che l'America ridurrà gli aiuti economici. Bush preferirebbe in sostanza che Sharon smantellasse qualche insediamento in un gesto distensivo, senza arrivare a un confronto.
E' un equilibrio delicato tra l'appoggio a Israele e lo sforzo di rilanciare i negoziati di pace. Con il veto alla risoluzione dell'Onu, stilata dal delegato palestinese Nasser al Kidwa, l'America si espone all'accusa di complicità con il premier israeliano Sharon. Prendendo posizione contro gli insediamenti e «il muro di difesa», segnala di volere sbloccare l'impasse negoziale. Ma non è la svolta dell'amministrazione di Bush padre, che tolse gli aiuti a Israele per spingerlo alla pace.
Bush figlio si muove con esitazione, tanto che il suo ministro del tesoro John Snow, in visita a Gerusalemme, non sfiora la questione degli insediamenti nel colloquio con Sharon.
A scatenare la battaglia all'Onu è la Siria, l'unico membro arabo del Consiglio di sicurezza. Dopo trattative dietro le quinte, la Siria ritocca la risoluzione e la presenta al voto al mattino. La risoluzione esige che «Israele, potenza occupante, abbandoni ogni atto teso a espellere Arafat e cessi di minacciare la sua sicurezza». Esprime anche «il pieno appoggio agli sforzi di pace del quartetto Onu, Ue, Usa e Russia» e si appella a israeliani e palestinesi «affinché ritornino alla road map».
Infine, manifesta «gravi preoccupazioni per gli attacchi delle due parti che causano enormi sofferenze a vittime innocenti». E' una risoluzione che si può approvare, dice la Francia. No, ribatte l'America, «è squilibrata».
E' squilibrata, afferma Cunningham, perché il problema più serio in Israele e in Palestina è il terrorismo, e non se ne parla. Ci vuole una risoluzione che lo denunci e che imponga la ripresa dei negoziati sulla «road map». Terje Roed Larsen, il mediatore Onu per il Medio oriente, obbietta che anche il problema di Arafat è serio. Il delegato israeliano Dan Gillerman ribatte che il presidente palestinese «è un terrorista professionista» e non ci possono essere perciò compromessi.
Alla Casa Bianca, il portavoce Scott McLelland ignora il braccio di ferro all'Onu per soffermarsi sulla possibile riduzione dei prestiti per gli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gaza. Dichiara che «la decisione finale spetta al segretario di stato Colin Powell». Ma fa capire che il presidente Bush non ha ancora approvato un'altra riduzione dei prestiti a causa del «muro di difesa». Da indiscrezioni della Casa Bianca, negli accordi con Israele c'è una clausola che consente agli Stati Uniti di ridurre i finanziamenti in casi come questi. Ma ciò non significa, precisa il ministro John Snow a Gerusalemme, che l'America ridurrà gli aiuti economici. Bush preferirebbe in sostanza che Sharon smantellasse qualche insediamento in un gesto distensivo, senza arrivare a un confronto.
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