Da Corriere della Sera del 10/09/2003

Dalle saldatrici ai giubbini: i cataloghi con i prodotti delle nostre aziende clonati

Macchine, nomi e colori: ecco le «copie perfette» in Cina

«Made in Italy»? No, in Cina ma è una copia perfetta Nel catalogo della Xuanbao Enterprise la fiorentina Fasep (attrezzature per gommisti) diventa Pasef, ma offre prodotti gemelli

di Gian Antonio Stella

Bisogna vederli, per capire. Bisogna vedere la valvola e la vite, il nome e lo stemma, la manopola e il colore del gancetto. Tutti perfettamente clonati. Indistinguibili. A Giuliano Maselli, della «Giuliano», è capitato alla Fiera di Pechino di scovare il clone della «sua» macchina per smontare gli pneumatici: «"Bella macchina", dico, "quanto costa?". Risponde: "Machina belisima, mister: pochi soldi". Chiedo: "Ma la garanzia?". "No problem, mister: ecco garanzia"». «Guardo: la "mia" garanzia, con la "mia" firma, il "mio" marchio. Dico: "Interessante: posso mostrarle una cosa?". Gli metto in mano il mio passaporto con il mio nome, la mia firma. Quello guarda la garanzia, il documento, la garanzia e capisce. Si mette a ridere: "Hi hi hi..." E giù pacche sulle spalle: "Italiano eh? Hi hi... Bravi italiani!"». Per carità: è vero che succede anche da noi. I quartieri spagnoli di Napoli e le cascine abbandonate della campagna trevisana, per non dire di tantissimi altri posti in Italia, ospitano centinaia di laboratori che fanno borsette e cinture e maglie e compact disc e schede della pay-tv clonati. E c' è chi come il «Museo del falso» di Salvatore Casillo ha smascherato in questi anni prodotti contraffatti di ogni genere, dai detersivi agli argenti, dai vocabolari ai fumetti, dagli antibiotici al mastice, venduto sulle bancarelle napoletane come «super-azzeck». Per non parlare delle imprese fantasma fondate solo sulla carta per mungere contributi allo Stato. Se ti beccano, però, vai dentro. O almeno ti sequestrano la merce e ti mandano sotto processo. In Cina, no. E Umberto Bossi avrà certo torto marcio sulla pretesa di metter dazi se ha dovuto correggerlo anche Silvio Berlusconi e magari Giulio Tremonti non ha rispettato qualche regola del galateo diplomatico accusando i cinesi di muoversi sul mercato mondiale con una spregiudicatezza tale da copiare, con una sfumatura di differenza nel disegno che può mettere in allarme solo un occhio esperto, perfino il marchietto (Ce) dell' Unione europea spacciato per «China Export». Può darsi che non sia questo, il modo di scalciare. Neppure alla vigilia della Wto che si apre oggi a Cancun con il gigante giallo che cresce, cresce, cresce. Finché non vedi le copie, però, uguali in ogni più piccolo dettaglio, non puoi capire davvero. Perché è tutta lì, quella che il nostro ministro dell' Economia accusa essere la «concorrenza impossibile». Una concorrenza sleale che colpisce la nostra produzione in ogni settore, dalle macchine da caffè con l' omino della Bialetti al cartoccio dei cioccolatini Ferrero-Rocher, dai gioielli d' oro di Vicenza ai rubinetti di Lumezzane. Ma va a scheggiare pericolosamente, soprattutto, quella che è l' ossatura del Nord-Est e della terza Italia. Quel tessuto di fabbriche e fabbrichette che avevano conquistato il mondo inventando macchine che offrono soluzioni semplici a problemi complicati. E che oggi si vedono rubare quote di mercato dalle «loro» macchine coi «loro» marchi vendute a metà prezzo. Basta prendere la copertina di catalogo della «Xuanbao Enterprise», una società che offre una serie di attrezzature per i gommisti e i meccanici di automobili: non ce n' è una, accusa l' Aica (Associazione Italiana Costruttori di Autoattrezzature) che non sia stata scopiazzata da un prodotto italiano, così che «la fiorentina "Fasep" è diventata "Pasef", la "Sicam" è diventata "Spcam", la "Giuliano" è rimasta "Giuliano" ma qualcuno, e non il titolare dell' azienda, ha pensato bene di registrare il marchio in Cina, tanto per tutelarsi, di questi tempi e con gli italiani non si può mai sapere. Il virus della copiatura si è diffuso tempestivamente ancor prima e ancor più violentemente della Sars». Fabio Boni, della Fasep, ride amaro: «Un giorno mi chiama un cliente pakistano: "Ho visitato il vostro stabilimento cinese: bello!". "No, guardi: mai avuto una fabbrica in Cina". "Non è possibile: l' ho vista io!". Han copiato tutto: macchine, colore, marchio con una pantera nera. Tutto. Hanno solo spostato due lettere, registrando il nome lì in Cina: Fasep è diventato Pasef, ma i caratteri sono messi in modo tale che faccio fatica io a distinguere. Abbiamo provato a contattarli. Zero. Silenzio assoluto». Alla «Cormach», acronimo di Correggio Machinary, non si sono accontentati di rubare il nome: cambiato il colore delle macchine per gommisti e autofficine, hanno lasciato bene impresso il luogo in cui figurano prodotte: Correggio, provincia di Reggio Emilia. In una immaginaria bassa padana solcata dalle acque dello Yangtze. A Vinicio Dalla Vecchia, titolare della vicentina «Industrial Starter» che fa quei famosi giubbini con le bande rifrangenti che dovremmo indossare in caso di sosta forzata lungo l' autostrada, hanno copiato non solo il design, il colore e le bande ma pure l' etichetta in ogni dettaglio: «art. 1210, gilet Av, chaleco Av». Alla «Corghi» hanno clonato, uno a uno, i macchinari, i cataloghi e il nome. Finché, per dare un tocco personalizzato, hanno deciso di cambiare una lettera creando il logo «Coryhi», non solo identico graficamente ma anche, a quanto pare, foneticamente. Se uno protesta, gli dicono: spiacenti, doveva registrare il marchio anche in Cina. Ma Bruno Segala, un ex-operaio vicentino che costruisce con la sua «Helvi» saldatrici elettriche e macchine carica-batterie ed esporta in un centinaio di Paesi diversi il 92% della sua produzione, dice che lui l' aveva fatto ma non è servito a niente. Un ex-operaio cinese che lavorava per il suo distributore gli ha copiato le macchine vite per vite, rondella per rondella. Denunciato, è stato condannato a pagare 10 mila dollari di multa, sulla carta: «Mai visto uno. E quello ha continuato come prima. Mi ha clonato tutto, tutto, tutto. Al punto che ho dovuto prendere una decisione drastica: ho deciso di togliere le novità da internet. Non facevo a tempo a metterle online che laggiù me le mettevano in produzione...».

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