Da Corriere della Sera del 11/09/2003
«I manager d'oro? Gli utili arrivano dai colletti bianchi»
Uno studio di Harvard sostiene che il valore delle aziende deriva dai quadri, non dai dirigenti
di Ennio Caretto
WASHINGTON - Sono i manager pagati a peso d'oro o i colletti bianchi, cioè i quadri intermedi, a fare la fortuna di un'azienda? Per Wall Street non c'era mai stato dubbio: sono i primi, che percepiscono dal milione di dollari all'anno in su, pensano solo alla carriera, e cambiano spesso posto. Ma un saggio della Harvard Business Review e alcuni libri sostengono il contrario: a far ricche le compagnie sono i secondi, che guadagnano normali stipendi, non sacrificano al lavoro la vita privata e restano nella stessa compagnia.
Thomas De Long, un economista di Harvard che ha gettato il sasso nello stagno, li chiama i «B player», in contrapposizione ai loro capi, gli «A player». «Sono quelli che eseguono gli ordini - spiega - che li eseguono bene, lavorando fino a 60 ore alla settimana, se ne sentono gratificati e pensano di essere compensati adeguatamente». Secondo Larry Bossidy, l'autore del libro «La disciplina di fare le cose», i colletti bianchi sono cruciali.
Bossidy è l'ex presidente della Honeywell, e ha basato il libro sulle sue esperienze personali. «Avere idee è facile - dichiara - ma realizzarle è difficile. Sono i colletti bianchi che adattano i progetti alla realtà, che adottano le piccole modifiche, che garantiscono il successo di un prodotto». Bossidy accusa le grandi società di concedere troppi soldi e troppi privilegi a quel 15% dei loro dipendenti che è al top, di eliminare spietatamente il 15% più in basso, e di trascurare il 70% al centro costituito da quella fascia di quadri e impiegati «che sono invece il pilastro aziendale». A suo parere, molti colletti bianchi sono più legati alle società di molti dirigenti, hanno più coraggio nel denunciarne le pecche e sono meno propensi a lamentarsi.
John Hammergreen, il presidente della McKesson, una compagnia farmaceutica con 24 mila dipendenti di Dubuque nello Iowa, è d'accordo con De Long e con Bossidy. «Gli A player vengono a chiedermi un aumento di stipendio e una promozione dopo sei mesi e comunque alla fine se ne vanno. I B player vogliono solo un lavoro interessante e un buon trattamento e stanno bene con noi. Sono appunto il 70% circa dei dipendenti, e hanno tutto il mio rispetto».
Per De Long e Bossidy è vicina una piccola rivoluzione nel mondo del lavoro. Dopo la pubblicazione del saggio e del libro, hanno detto entrambi, numerose società li hanno avvicinati per chiedere come soddisfare meglio i bisogni dei colletti bianchi.
Thomas De Long, un economista di Harvard che ha gettato il sasso nello stagno, li chiama i «B player», in contrapposizione ai loro capi, gli «A player». «Sono quelli che eseguono gli ordini - spiega - che li eseguono bene, lavorando fino a 60 ore alla settimana, se ne sentono gratificati e pensano di essere compensati adeguatamente». Secondo Larry Bossidy, l'autore del libro «La disciplina di fare le cose», i colletti bianchi sono cruciali.
Bossidy è l'ex presidente della Honeywell, e ha basato il libro sulle sue esperienze personali. «Avere idee è facile - dichiara - ma realizzarle è difficile. Sono i colletti bianchi che adattano i progetti alla realtà, che adottano le piccole modifiche, che garantiscono il successo di un prodotto». Bossidy accusa le grandi società di concedere troppi soldi e troppi privilegi a quel 15% dei loro dipendenti che è al top, di eliminare spietatamente il 15% più in basso, e di trascurare il 70% al centro costituito da quella fascia di quadri e impiegati «che sono invece il pilastro aziendale». A suo parere, molti colletti bianchi sono più legati alle società di molti dirigenti, hanno più coraggio nel denunciarne le pecche e sono meno propensi a lamentarsi.
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