Da Corriere della Sera del 01/09/2003
Quei quattordici fax da Belgrado e gli allarmi sull'affare
Il responsabile degli uffici nella capitale serba era Bascone, ora vicedirettore generale alla Farnesina
di Maria Latella
ROMA - Per ben quattordici volte, come ha ricordato Ernesto Galli della Loggia sul Corriere , inviò a Roma dispacci rimasti inascoltati. Segnalavano, quei messaggi dell’ambasciatore di Belgrado, i rischi dell’acquisizione di Telekom Serbia da parte di Telecom Italia. A Roma non vollero considerarli tali ma l’ambasciatore Bascone continuò a insistere, per via di una rigorosa concezione del ruolo di civil servant , la stessa per cui, in questi anni, non ha mai voluto parlare con un giornalista. Ha risposto, però, alle molte domande rivoltegli dalla commissione parlamentare presieduta da Enzo Trantino, ricostruendo quella che era la situazione a Belgrado negli anni ’96-97: nella vicenda Telekom-Serbia anche la cronologia ha un suo rilievo. Nulla può aggiungere, invece, su Igor Marini: nella Belgrado di quegli anni di Marini non si parlava. Di Giovanni Di Stefano, sì, lui era già piuttosto noto per via di certe funamboliche frequentazioni, dal famigerato Arkan all’entourage di Milosevic, ma il diplomatico non aveva motivo di incontrarlo. In tanti, leggendo le cronache sull’affare Telekom-Serbia, si chiedono come mai le segnalazioni arrivate dall’allora ambasciatore a Belgrado siano rimaste inascoltate. Tra i molti dispacci inviati alla Farnesina, ci fu anche una lettera a Piero Fassino, allora sottosegretario agli Affari esteri nel governo di Romano Prodi. «La scelta di scrivere a Fassino nasceva da due motivi - ricostruisce oggi Francesco Bascone -. Per cominciare, era lui ad avere la delega per i Balcani e poi avevo intuito una certa sua contrarietà all’operazione Telekom-Serbia». Fassino contrario? Bascone ne ha parlato soltanto davanti alla commissione, spiegando che l’allora sottosegretario era stato in visita ufficiale a Belgrado due volte, nel novembre del ’96 e nel gennaio del ’97. A novembre non si parlava assolutamente di trattative su Telekom-Serbia. A gennaio invece c’erano già delle voci: «Ebbi l’impressione che Fassino disapprovasse nettamente. Aveva buoni rapporti con gli esponenti dell’opposizione, li incontrò, così come incontrò il governo, e doveva aver capito che quell’affare avrebbe proiettato sull’Italia una luce ambigua».
Non sempre i dispacci degli ambasciatori arrivano sul tavolo del ministro o del sottosegretario, mentre la formalità della lettera garantiva una certa attenzione ma, come Francesco Bascone ha spiegato alla commissione presieduta da Trantino, compito del diplomatico è informare, poi non è scontato ricevere risposta. Si sa che la missiva fu recapitata al «primo piano», formula con cui generalmente si indicava l’ufficio del sottosegretario.
La cronologia è importante, dicono alla Farnesina, rilevando, ogni tanto, qualche inesattezza nelle cronache che riferiscono sugli anni ’96-97 a Belgrado. Dire che l’ affaire Telekom Serbia sia stato contemporaneo alla pulizia etnica è per esempio inesatto. La trattativa con Milosevic risale al ’96 e la pulizia etnica è di due anni dopo. D’altra parte nel ’96, dopo gli accordi di Dayton, il dittatore serbo era tornato presentabile, le sanzioni erano state tolte e l’esangue economia serba prometteva di diventare interessante.
Proprio per tornare a quegli anni. L’ambasciatore a Belgrado riceve le prime allarmate informazioni da esponenti dell’opposizione serba: è il 1996 e gli oppositori di Milosevic lo avvisano di contatti in corso tra la Stet e Telekom Serbia. In Italia, però, nessuno ne sa niente. Bascone riferisce alla Farnesina. Nel gennaio del ’97 è addirittura il governatore della Banca Centrale serba, un signore ottantenne, a confidargli le sua perplessità per l’affaire avviato dagli italiani. I giornali vicini agli ambienti democratici scrivono che, con i soldi della vendita di Telekom Serbia, Milosevic riprenderà fiato mentre, al momento, il regime è alle corde, ha perso le elezioni amministrative in molti centri urbani, Belgrado compresa, e in molte piazze si susseguono quotidiani cortei di protesta. Anche il Financial Times e il Boston Globe si occupano della vicenda Telekom Serbia. «Davvero l’Italia vuole aiutare un regime screditato e avviato alla sconfitta?» chiedono con insistenza gli oppositori di Milosevic.
Come ha osservato sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia, nessuno è ancor oggi in grado di dare risposte a molti interrogativi. E quando risposte ci sono state, all’epoca, riviste oggi paiono francamente ingenue. Dopo che la trattativa tra Telekom Serbia e Telecom Italia era diventata pubblica, due funzionari della società italiana, in visita a Belgrado, incontrarono l’ambasciatore, spiegando le ragioni dell’interesse per l’operazione: i tedeschi entravano nelle telecomunicazioni italiane, e l’Italia doveva anche lei darsi da fare all’estero. L’investimento rischiava di non essere nell’immediato redditizio? Col tempo lo sarebbe diventato.
Non sempre i dispacci degli ambasciatori arrivano sul tavolo del ministro o del sottosegretario, mentre la formalità della lettera garantiva una certa attenzione ma, come Francesco Bascone ha spiegato alla commissione presieduta da Trantino, compito del diplomatico è informare, poi non è scontato ricevere risposta. Si sa che la missiva fu recapitata al «primo piano», formula con cui generalmente si indicava l’ufficio del sottosegretario.
La cronologia è importante, dicono alla Farnesina, rilevando, ogni tanto, qualche inesattezza nelle cronache che riferiscono sugli anni ’96-97 a Belgrado. Dire che l’ affaire Telekom Serbia sia stato contemporaneo alla pulizia etnica è per esempio inesatto. La trattativa con Milosevic risale al ’96 e la pulizia etnica è di due anni dopo. D’altra parte nel ’96, dopo gli accordi di Dayton, il dittatore serbo era tornato presentabile, le sanzioni erano state tolte e l’esangue economia serba prometteva di diventare interessante.
Proprio per tornare a quegli anni. L’ambasciatore a Belgrado riceve le prime allarmate informazioni da esponenti dell’opposizione serba: è il 1996 e gli oppositori di Milosevic lo avvisano di contatti in corso tra la Stet e Telekom Serbia. In Italia, però, nessuno ne sa niente. Bascone riferisce alla Farnesina. Nel gennaio del ’97 è addirittura il governatore della Banca Centrale serba, un signore ottantenne, a confidargli le sua perplessità per l’affaire avviato dagli italiani. I giornali vicini agli ambienti democratici scrivono che, con i soldi della vendita di Telekom Serbia, Milosevic riprenderà fiato mentre, al momento, il regime è alle corde, ha perso le elezioni amministrative in molti centri urbani, Belgrado compresa, e in molte piazze si susseguono quotidiani cortei di protesta. Anche il Financial Times e il Boston Globe si occupano della vicenda Telekom Serbia. «Davvero l’Italia vuole aiutare un regime screditato e avviato alla sconfitta?» chiedono con insistenza gli oppositori di Milosevic.
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