Da La Repubblica del 01/09/2003
Originale su http://www.repubblica.it/2003/h/sezioni/politica/telekomserbia/retrosc...

La mossa del leader Ds, sbagliata nella forma, risponde a una campagna sbagliata anche nella sostanza

L'onesto Fassino va alla guerra "Mi dovranno chiedere scusa"

di Massimo Giannini

È un brutto Paese, quello in cui tornano ad agitarsi i fantasmi delle tangenti, gli oscuri faccendieri producono indizi improbabili, le maggioranze usano commissioni parlamentari e giornali come una clava e le opposizioni rievocano "grandi burattinai". Miasmi da Prima Repubblica, che non sembra mai passata. Il contrattacco di Piero Fassino, che accusa il presidente del Consiglio di essere il "mandante occulto" della campagna montata sull'affare Telekom Serbia, è il chiaro sintomo di una politica malata. E ne produce irrimediabilmente un altro: la controdenuncia penale di Silvio Berlusconi. Ma non si può non vedere che la mossa estrema del leader dei Ds è la reazione, sbagliata nella forma, di fronte a un'azione ancora più sbagliata nella sostanza: l'offensiva che il centrodestra ha lanciato in questi mesi contro il centrosinistra.

Offensiva strumentale, perché finora priva di qualunque riscontro probatorio e costruita sulle illazioni indimostrate di truffatori del calibro di Igor Marini e Giovanni Di Stefano. Offensiva intollerabile, perché usa il semplice sospetto di un impeachment giudiziario come prosecuzione della politica con altri mezzi. Con il rischio (o l'obiettivo?) di delegittimare comunque le classi dirigenti avversarie, le più alte cariche dello Stato e le più importanti istituzioni comunitarie. Fassino, Rutelli, Veltroni, Dini, Mastella da una parte. Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi dall'altra. Tutti nello stesso girone infernale. Si spartirono la mazzetta per l'acquisto di Telekom Serbia da parte del colosso delle telecomunicazioni italiano, nel '96? Non c'è uno straccio di prova che lo dimostri, al di là delle patacche vendute dal "Conte Igor" dalle patrie galere torinesi. Ma poco importa. Importa invece che nella testa della gente frullino i dubbi. E importa che in ogni caso si consolidi una discutibile certezza: anche se non intascarono una lira, i leader del centrosinistra di oggi (allora ministri o sottosegretari del governo dell'Ulivo) insieme al Capo dello Stato e al presidente della Commissione Ue (all'epoca ministro del Tesoro e presidente del Consiglio) hanno la "responsabilità politica" di un affare losco, che portò denaro fresco nelle casse del regime del sanguinario Milosevic.

Fassino, stanco di questa campagna, ha deciso di dire basta. L'ha fatto con una denuncia durissima, che lo toglie dall'angolo e alza il tiro direttamente su Silvio Berlusconi. Ma una denuncia altrettanto rischiosa, che si fonda su un altro teorema e per questo lo espone ancora di più. Uno scatto di rabbia, istintivo e incontrollato? Non è così. Il leader diessino, il giorno dopo, è più che mai convinto: "Uno scatto di rabbia? Ma via, io faccio politica da trent'anni, figuriamoci se mi faccio prendere la mano...". Dunque, l'affondo del leader dei Ds è frutto di un calcolo. Quale? "Con la mia denuncia, io voglio dimostrare che il re è nudo. Telekom Serbia non è un giallo, non è uno scandalo, ma è solo un'aggressione politica messa in atto da mesi dal presidente del Consiglio, attraverso i suoi principali consiglieri e il giornale posseduto da suo fratello". C'è indignazione vera, nelle parole del segretario della Quercia: "Non lo nego, provo una profonda amarezza personale: chiunque mi conosce sa cos'è per me la politica, e quali sono i miei principi.

Berlusconi si legga il mio libro, prima di gettare fango su di me e sulla mia storia. Ma c'è anche e soprattutto un problema politico: io guido un partito, che ha 500 mila iscritti e 7 milioni di voti. Qui è in atto un'aggressione contro il leader del principale partito di opposizione, senza uno straccio di prova.

Un'aggressione che, insieme a me, coinvolge Prodi, Dini, Veltroni, Rutelli, Mastella. Io mi devo difendere, con tutti i mezzi che ho a disposizione, perché se non lo faccio queste tossine entrano nel sangue del sistema politico, e non ce ne liberiamo più...". Il problema è proprio questo: i mezzi. Rispondere alla calunnia dicendo che il Cavaliere è il "burattinaio" è un mezzo efficace? C'è una commissione parlamentare d'inchiesta: è quello il luogo della difesa politica.

Ma Fassino non si fida: "Purtroppo, la Commissione Telekom è un tribunale stalinista, precostituito, che ha già pronta la sua "sentenza" di condanna. Mi dovrei fidare di gente come Taormina, che da tempo ripete che Marini è un test affidabile, che ha già portato tutte le prove della corruzione? Piuttosto, è in corso a Torino un'inchiesta giudiziaria, sulla vicenda Telekom Serbia: grazie a dio, la conduce un procuratore garantista e illuminato, e sicuramente non certo un "comunista", come il dottor Maddalena. Indaga da mesi, e non ha trovato nulla: cos'è, una toga rossa anche lui?".

Se non c'è altra via che il contrattacco frontale al premier, resta aperta la questione più insidiosa, che già ora riecheggia nelle reazioni della Cdl. Che prove ha Fassino, a sua volta, per sostenere il suo atto d'accusa? "Il mio - replica l'interessato - è un giudizio politico. Da mesi esponenti di primo piano di Forza Italia, come Bondi e Cicchitto, continuano a ripetere che dobbiamo dimostrare di non aver preso le tangenti, stravolgendo ogni principio di sintassi giudiziaria e di correttezza etica. Se non c'è Berlusconi alle loro spalle, perché il premier non li ferma? E poi: da mesi "il Giornale", di proprietà di Paolo Berlusconi, alimenta la campagna di diffamazione contro di me e contro tutti noi. Se non c'è dietro Berlusconi, perché non interviene su suo fratello, per farla finita con questa campagna? E ancora: Marini e Di Stefano continuano a raccontare il falso, aggravando la loro già compromessa posizione processuale e giudiziaria: perché lo fanno? Sono disposti ad andare in galera in nome dello spirito santo? Insomma, la campagna avanti, e il premier tace. È la strategia di Goebbels: ripeti all'infinito la tua propaganda, e alla fine la gente ti crederà. Ebbene, io non ci sto".

Se il "non ci sto" ha un solido movente politico, c'è una questione specifica, sulla quale Fassino e gli altri leader finora hanno esitato a rispondere: perché nel '97 il governo dell'Ulivo decise di rilevare il 29% di Telekom Serbia, versando 878 miliardi di vecchie lire al regime del dittatore jugoslavo Milosevic? Perché non vigilò sull'operazione, condotta da un gruppo allora pubblico come la Stet? Perché pochi anni dopo la Telecom rivendette quella partecipazione per poco più di 300 miliardi? Il leader dei Ds non si tira indietro: "Vedo che ora il centrodestra sposta il tiro: dato che le accuse di merito sollevate da Marini si stanno rivelando solo balle, ora parlano di "responsabilità politica" per quell'affare. Ci accusano di aver dato soldi a Milosevic. Anche questa è una vergognosa calunnia.

Per due ragioni. La prima: chiedano ai funzionari della Farnesina, e provino a ricordare in quale contesto maturò quell'operazione. Tutto avvenne sulla scia degli accordi di pace di Dayton, quando gli Stati Uniti e l'Unione europea, dopo cinque anni di bagno di sangue nei Balcani, decisero insieme di scommettere sulla pace e di aiutare quel processo, che vedeva coinvolti insieme i serbi e i croati. Si decise allora di togliere l'embargo e le sanzioni, si introdusse il Sistema agevolato degli scambi, si invitarono le imprese occidentali ad andare nella ex Jugoslavia. Lo fece anche la Stet, che per operazioni quel tipo non aveva alcun obbligo a riferire al governo, essendo tra l'altro un'azienda già parzialmente privatizzata. E allora, che colpa ha il governo, se pochi anni dopo quella scommessa della comunità internazionale fallì, e riesplose la guerra nel Kosovo? Chi poteva prevedere uno sviluppo così negativo della questione balcanica?

Se ogni volta che c'è da concludere un affare si ponessero questi vincoli, servirebbe una Commissione d'inchiesta per ogni governo della Repubblica. Con lo stesso criterio, dovremmo die che costruire Togliattigrad in Unione Sovietica fu un reato della Fiat. Con lo stesso criterio, dovrei chiedere a Frattini e Urso di rompere con la Cina o l'Iran, e di non fare più affari con quei Paesi. Una cosa ridicola...". Lo stesso, secondo Fassino, vale per il prezzo della partecipazione, che in cinque anni fu dimezzato: "Che senso ha valutare con i criteri del 2000 la congruità di un prezzo pagato nel 1997? Anche questo è un rilievo che dimostra tutta la strumentalità di questi attacchi...".

Insomma, non solo il capo della Quercia non arretra. Ma addirittura rilancia. "Io sono un uomo onesto, e dico basta a queste calunnie vergognose. Sono pronto ad andare in Commissione, in qualunque momento, perché ho la coscienza a posto. Posso mettere a disposizione i miei conti bancari, se vogliono. Ma il solo dover parlare di queste cose, è già un'offesa per me e per la mia storia...". Una cosa è certa. L'alzo zero di Fassino sul premier è un altro elemento di drammatizzazione dei rapporti tra i Poli. E non mancherà di produrre effetti nefasti sul confronto d'autunno. "Mi dispiace - conclude Fassino - ma non è colpa mia. Io sono un bipolarista mite, e sono sempre pronto al dialogo. Ma voglio essere pienamente riconosciuto come interlocutore legittimo. Invece il centrodestra da una parte pretende da me il dialogo sulle riforme, ma intanto dall'altra parte mi dà del ladro. Veda lei, chi è responsabile dello scontro politico". Ci aspettano giorni tempestosi. Schifani dice a Fassino di chiedere scusa a Berlusconi. "Sono loro che devono chiedere scusa a me...", è l'ultima risposta.

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