Da Wired News del 13/11/2002
Originale su http://www.wired.com/news/medtech/0,1286,56380,00.html
Nelle proteine si legge il futuro del cancro
di Kendra Mayfield
SECONDO UN RECENTE STUDIO, il calcolo, in fase iniziale, della presenza di una particolare proteina in un tumore garantirebbe ai medici la possibilità di prevedere in modo straordinariamente preciso il grado di futura diffusione del cancro al seno nel resto dell'organismo della paziente esaminata.
Se le prime intuizioni verranno confermate, un giorno sarà possibile sfruttare una proteina della crescita, denominata ciclina E, per capire quali malate abbiano bisogno della chemioterapia oltre all'intervento chirurgico e per quali basti semplicemente rimuovere il tumore.
Secondo Khandan Keyomarsi dell'M. D. Anderson Cancer Center (http://www.mdanderson.org) di Houston, la ciclina E si è dimostrata un indicatore sei volte più efficace rispetto alle attuali metodologie che misurano le dimensioni del male e la diffusione delle cellule cancerose. In pazienti al primo stadio, nelle quali non è ravvisabile nessun segnale di estensione della patologia, questa proteina ha mostrato con un'esattezza del cento per cento chi fra le malate esaminate sarebbe sopravvissuta ai successivi sei anni e chi nello stesso arco di tempo sarebbe morta. Anche nei casi in cui il tumore si era già esteso ai linfonodi, questa tecnica ha garantito un'accuratezza delle previsioni superiore al novanta per cento.
Comunque, secondo la Keyomarsi, studi effettuati su campioni più estesi potrebbero dare risultati non altrettanto promettenti. La ciclina E «potrebbe rivelarsi molto utile nell'individuazione delle pazienti che non hanno bisogno di un'estenuante chemioterapia ma anche di quelle che invece necessitano di un trattamento più aggressivo», spiega la ricercatrice, le cui scoperte sono state riportate sul New England Journal of Medicine (http://content.nejm.org). Questa proteina è un buon indicatore perché svolge un'importante funzione nello sviluppo cellulare, di cui il cancro costituisce essenzialmente una degenerazione. Secondo la Keyomarsi potrebbe trattarsi del primo indicatore biologico totalmente affidabile, in grado di distinguere tra forme più o meno invasive di tumore prima che si diffondano.
METODOLOGIE E PERCENTUALI
Altri ricercatori trovano questo studio interessante, ma anche loro avvertono che dev'essere ancora confermato con altre indagini e l'esame di un numero molto maggiore di casi. «È una scoperta molto stimolante, non vedo l'ora di assistere all'affermazione definitiva di questo particolare indicatore», commenta il dottor Larry Norton, primario di oncologia del tumore solido e direttore del Breast Center del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center (http://www.mskcc.org/mskcc/html/44.cfm) di New York. La Keyomarsi precisa che i primi, difficili studi sulla ciclina E usavano gli anticorpi per trovare la proteina. Lei invece, nei suoi esperimenti, ha separato le proteine con la corrente elettrica, con risultati migliori rispetto alla vecchia tecnica.
Purtroppo, però, i laboratori clinici di solito non hanno a disposizione l'equipaggiamento necessario per applicare questa nuova metodologia. Oltretutto, il tessuto canceroso viene generalmente immerso nella cera, mentre per il test che la Keyomarsi ha scoperto più efficace serve tessuto fresco o al limite congelato subito dopo il prelievo. Questo potrebbe compromettere lo sviluppo dei futuri esperimenti sulla ciclina E, perché i tessuti freschi si decompongono velocemente. Inoltre - osserva Norton - dal momento che le mammografie oggi consentono di rilevare il cancro a uno stadio estremamente precoce, molti tumori sono così piccoli che dopo la diagnosi non resta niente per l'analisi. «Comunque se si dovesse scoprire un'effettiva utilità di questa proteina come indicatore, varrebbe la pena di fare di tutto per trovare un modo di utilizzarla nella maggior parte dei casi», commenta. Secondo James Roberts, uno scienziato del Fred Hutchinson Cancer Research Center (http://www.fhcrc.org) di Seattle, già gli studiosi di quell'istituto avevano svolto delle ricerche che suggerivano l'ipotesi della ciclina E come indicatore efficace per il cancro al seno, ma secondo lui altri rilevatori standard delle anomalie dello sviluppo cellulare potrebbero andare altrettanto bene.
Nella sua indagine, la Keyomarsi ha calcolato il livello di ciclina E nei tessuti prelevati a 395 donne a cui era stato diagnosticato un tumore tra il 1990 e il 1995. In 114 di esse fu riscontrato uno stadio iniziale della patologia, che non si era ancora estesa. Dodici morirono, e tutte e dodici mostravano un'alta presenza di quella proteina. Le altre avevano una bassa concentrazione di ciclina E, e sopravvissero tutte. Nei casi di tumori più avanzati, la differenza non era così marcata, e non esisteva affatto nelle malate in cui il cancro aveva già raggiunto i linfonodi. In generale, se il male non si è diffuso e le sue dimensioni sono ancora inferiori a quelle di un'unghia (anche meno di un centimetro), il medico può limitarsi a rimuoverlo chirurgicamente, senza bisogno di ricorrere a radiazioni o chemioterapia.
Se le prime intuizioni verranno confermate, un giorno sarà possibile sfruttare una proteina della crescita, denominata ciclina E, per capire quali malate abbiano bisogno della chemioterapia oltre all'intervento chirurgico e per quali basti semplicemente rimuovere il tumore.
Secondo Khandan Keyomarsi dell'M. D. Anderson Cancer Center (http://www.mdanderson.org) di Houston, la ciclina E si è dimostrata un indicatore sei volte più efficace rispetto alle attuali metodologie che misurano le dimensioni del male e la diffusione delle cellule cancerose. In pazienti al primo stadio, nelle quali non è ravvisabile nessun segnale di estensione della patologia, questa proteina ha mostrato con un'esattezza del cento per cento chi fra le malate esaminate sarebbe sopravvissuta ai successivi sei anni e chi nello stesso arco di tempo sarebbe morta. Anche nei casi in cui il tumore si era già esteso ai linfonodi, questa tecnica ha garantito un'accuratezza delle previsioni superiore al novanta per cento.
Comunque, secondo la Keyomarsi, studi effettuati su campioni più estesi potrebbero dare risultati non altrettanto promettenti. La ciclina E «potrebbe rivelarsi molto utile nell'individuazione delle pazienti che non hanno bisogno di un'estenuante chemioterapia ma anche di quelle che invece necessitano di un trattamento più aggressivo», spiega la ricercatrice, le cui scoperte sono state riportate sul New England Journal of Medicine (http://content.nejm.org). Questa proteina è un buon indicatore perché svolge un'importante funzione nello sviluppo cellulare, di cui il cancro costituisce essenzialmente una degenerazione. Secondo la Keyomarsi potrebbe trattarsi del primo indicatore biologico totalmente affidabile, in grado di distinguere tra forme più o meno invasive di tumore prima che si diffondano.
METODOLOGIE E PERCENTUALI
Altri ricercatori trovano questo studio interessante, ma anche loro avvertono che dev'essere ancora confermato con altre indagini e l'esame di un numero molto maggiore di casi. «È una scoperta molto stimolante, non vedo l'ora di assistere all'affermazione definitiva di questo particolare indicatore», commenta il dottor Larry Norton, primario di oncologia del tumore solido e direttore del Breast Center del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center (http://www.mskcc.org/mskcc/html/44.cfm) di New York. La Keyomarsi precisa che i primi, difficili studi sulla ciclina E usavano gli anticorpi per trovare la proteina. Lei invece, nei suoi esperimenti, ha separato le proteine con la corrente elettrica, con risultati migliori rispetto alla vecchia tecnica.
Purtroppo, però, i laboratori clinici di solito non hanno a disposizione l'equipaggiamento necessario per applicare questa nuova metodologia. Oltretutto, il tessuto canceroso viene generalmente immerso nella cera, mentre per il test che la Keyomarsi ha scoperto più efficace serve tessuto fresco o al limite congelato subito dopo il prelievo. Questo potrebbe compromettere lo sviluppo dei futuri esperimenti sulla ciclina E, perché i tessuti freschi si decompongono velocemente. Inoltre - osserva Norton - dal momento che le mammografie oggi consentono di rilevare il cancro a uno stadio estremamente precoce, molti tumori sono così piccoli che dopo la diagnosi non resta niente per l'analisi. «Comunque se si dovesse scoprire un'effettiva utilità di questa proteina come indicatore, varrebbe la pena di fare di tutto per trovare un modo di utilizzarla nella maggior parte dei casi», commenta. Secondo James Roberts, uno scienziato del Fred Hutchinson Cancer Research Center (http://www.fhcrc.org) di Seattle, già gli studiosi di quell'istituto avevano svolto delle ricerche che suggerivano l'ipotesi della ciclina E come indicatore efficace per il cancro al seno, ma secondo lui altri rilevatori standard delle anomalie dello sviluppo cellulare potrebbero andare altrettanto bene.
Nella sua indagine, la Keyomarsi ha calcolato il livello di ciclina E nei tessuti prelevati a 395 donne a cui era stato diagnosticato un tumore tra il 1990 e il 1995. In 114 di esse fu riscontrato uno stadio iniziale della patologia, che non si era ancora estesa. Dodici morirono, e tutte e dodici mostravano un'alta presenza di quella proteina. Le altre avevano una bassa concentrazione di ciclina E, e sopravvissero tutte. Nei casi di tumori più avanzati, la differenza non era così marcata, e non esisteva affatto nelle malate in cui il cancro aveva già raggiunto i linfonodi. In generale, se il male non si è diffuso e le sue dimensioni sono ancora inferiori a quelle di un'unghia (anche meno di un centimetro), il medico può limitarsi a rimuoverlo chirurgicamente, senza bisogno di ricorrere a radiazioni o chemioterapia.
Annotazioni − Articolo in italiano edito su Boiler: http://www.enel.it//magazine//boiler//arretrati/114wmedicina.shtml
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