Da Corriere della Sera del 27/08/2003

Massimo Livi Bacci, demografo: il caso italiano fatto di giovani che entrano tardi nel mondo della produzione e anziani che ci restano troppo poco

«Viviamo più a lungo, servirebbe una riforma permanente»

L’attesa di vita media è di 80 anni. Bisognerebbe lavorare sei mesi in più per ogni anno di vita guadagnata

di Paolo Conti

ROMA -«Possiamo parlare sicuramente dell’Italia come di un caso europeo. E quindi in questo campo di vera patologia italiana...». Massimo Livi Bacci, accademico dei Lincei e docente di Demografia all’università di Firenze, se sente pronunciare la parola «pensioni» adotta una terminologia quasi clinica. Il professore non è un tipo capace di edulcorare la realtà. Da anni per esempio sostiene, assumendosi la sua quota di critiche anche politiche, che il sistema Italia si regge solo e soltanto grazie alle generose iniezioni di forza lavoro garantite dall’immigrazione. Lo ha spiegato nel recente saggio-intervista scritto con Giovanni Errera «Sviluppo, stato sociale, migrazione, globalizzazione e politica - Intervista sulla demografia» (Etas editore).

Adesso con altrettanta sincerità avverte: «L’equazione fondamentale del futuro è semplice. Se la vita si allunga, il periodo di quiescenza va adeguatamente riproporzionato. Oggi l’attesa di vita media di un cittadino italiano è di 80 anni, 77 per gli uomini e 83 per le donne, se sfrondiamo i dati dai soliti decimali e dalle virgole...» E quindi? «La regola aurea sarebbe, o sarà, lavorare sei mesi in più per ogni anno di vita media guadagnata. Questo perché, sempre in una media, la quota dedicata al lavoro da un’esistenza è la metà. Non si potrà più pensare di lavorare 25-30 anni e poi andarsene in pensione fino alla fine dei propri giorni».

Attenzione. Qui non siamo nel campo della futurologia ma della famosa realtà dietro l’angolo: tra non molto l’età media toccherà gli 81 in un Paese afflitto da una cronica denatalità.

Per di più, spiega il professore, gli anni di vita «guadagnati» grazie al benessere e alla prevenzione di molte malattie rappresentano un tempo» qualitativamente, socialmente e quindi culturalmente ben diverso dal passato: «Ora un uomo di 70-80 anni è ben più in gamba rispetto a un suo coetaneo vissuto appena un trentennio fa. Lo dimostrano molti indicatori, uno per tutti la pubblicità». Tradotto il concetto in un possibile slogan: vivere di più (e bene) sarà un lusso che ciascuno di noi dovrà pagarsi. Lavorando, ovviamente.

Siamo dunque a un bivio, a un’autentica rivoluzione culturale: più mesi, più anni dedicati al lavoro attivo man mano che l’esistenza umana si dilata. Impossibile immaginare un congelamento dell’attuale sistema: «Eccoci alla patologia italiana. Il nostro Paese ha il tasso di attività più basso d’Europa oltre i 55 anni, comprese tutte le stime possibili sulle attività non ufficiali. Per molto tempo l’andare in pensione in un’età così bassa fu ritenuta come una grande conquista sociale. Ormai non è più così... Non solo ma in Italia l’approdo di un qualsiasi giovane alla piena occupazione è molto tardivo rispetto a trent’anni fa».

Un fenomeno unico nel suo genere, che secondo Livi Bacci si traduce in un altro paradosso: «L’invecchiamento della popolazione italiana comincia a vent’anni, quando l’ingresso nel mondo della produzione è lontano». Risultato dell’equazione: la base produttiva tradizionalmente intesa è assai ridotta rispetto alla media europea.

C’è di mezzo un fenomeno che lo specialista ama definire «mediterraneo». Ovvero l’attaccamento alla famiglia d’origine e la difficoltà di nuotare da soli nel mare aperto della vita: «Per mezzo secolo chi aveva più di 50 anni d’età è stato difeso dal sistema a scapito dei giovani. Però le famiglie sono state caricate di compiti impropri perché la politica ha investito ben poco sulle nuove generazioni: nella scuola, negli spazi e nelle strutture per il tempo libero. Aggiungiamoci la lunga permanenza dei ragazzi a casa dei genitori per un periodo straordinariamente più consistente rispetto al resto d’Europa...».

Ci vorrebbe insomma un’Italia capace di far volare i propri figli più rapidamente nei cieli della vita e di convincere i neoanziani a dilazionare psicologicamente l’approdo alla pensione. Ha una formula, professore? Magari quella del ministro Maroni? Livi Bacci ride: «Non è il mio lavoro e non ho formule...»

I politici sono spaventati dall’impopolarità di questo magma, anche in termini elettorali. Che ne pensa? «Che un politico dovrebbe dimostrare ai propri potenziali elettori i vantaggi di lungo periodo di una riforma. Io, per esempio, non voto pensando solo a me stesso ma anche a mio figlio e mia nipote. Molti elettori di età media o anche anziani sanno valutare i benefici di una novità. Però sono certo che l’unico metodo possibile sia un largo spazio alla libera scelta individuale: proprio in virtù dell’allungamento di una vita "buona" numerosi italiani in età pensionabile decideranno di conservare la propria attività».

Addio alla pensione vista come l’Eldorado? Chissà...

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