Da La Repubblica del 22/07/2003

Un continente sempre più diviso. Un libro rievoca la figura di Spinelli

L’Europa futura

I padri che la sognarono unita oggi assisterebbero al suo declino

di Tommaso Padoa-Schioppa

L’Europa unita è una semplice e grande idea, ma l’Unione europea è una macchina complicatissima. Ci vuole tempo per capire come funzioni, per apprenderne vocabolario, ingranaggi, procedure, casistiche, per decifrarne il codice, per individuare l’attimo e il luogo in cui le decisioni si formano, dunque per potervi esercitare un’influenza. Una compagine di uomini nuovi, diffidenti verso l’eredità europeista lasciata dai predecessori, desiderosi di differenziarsi in tutto, aveva difficoltà anche maggiori di quelle che avevano avuto, in circostanze simili, altre forze che si erano avvicinate al potere in passato, come quelle socialiste negli anni Sessanta o quelle comuniste negli anni Settanta. E forse mancava loro un prezioso pedagogo quale, un tempo, era stato Altiero Spinelli, pronto a spiegare l’Europa a chiunque l’avvicinasse, senza distinzione di ideologia odi partito.

L’opera svolta dall’Italia nel processo di unificazione europea della seconda metà del secolo passato è stato forse il contributo politico più importante che l’Italia abbia dato alla storia moderna da quando i suoi stati preunitari, in pieno Rinascimento, cessarono di avere parte attiva nella storia europea. Senza l’apporto continuo, astuto, e determinato che ne ha dato l’Italia, l’enzima del principio sovranazionale – che la cultura italiana trae in abbondanza dall’universalismo romano, cristiano e umanistico – sarebbe probabilmente stato insufficiente a edificare il quantum di unione europea che abbiamo. Che per cinquant’anni l’Italia abbia fatto grande politica in Europa è una verità misconosciuta, così come è misconosciuto l’enorme vantaggio che ne ha tratto. E il misconoscimento induce a credere che non ci sia altro modo per contare in Europa che alzare la voce e rivendicare l’interesse nazionale. Accade così che la continuazione di quell’opera sia oggi incerta, proprio quando l’Europa e l’Italia ne hanno acutissimo bisogno.

Il sistema delle relazioni internazionali ed europee nei primi anni del nuovo secolo, soprattutto dopo l’attentato dell’11 settembre sta scendendo in un’inquietante spirale. Quella spirale ruota intorno alla questione della pace.

Mai l’amministrazione americana è parsa tanto lontana dall’Europa, mai l’Europa è parsa tanto divisa, mai la Francia e la Germania sono parse tanto mancare alla loro funzione di guida dell’unificazione europea. In questo preciso tempo hanno bisogno quasi disperato di un’Europa unita ciascuno dei paesi europei, l’Europa nel suo insieme, la stessa civiltà politica del mondo. E in questo stesso tempo la pur straordinaria, ma gravemente incompiuta, Europa unita che abbiamo rischia di essere travolta dalle tensioni che hanno contemporaneamente colpito le relazioni tra paesi europei, quelle interne alla Nato, e quelle nel sistema delle Nazioni Unite. L’Unione europea è come una casa che, in gran parte edificata ma ancor priva del tetto, sta per essere distrutta da un uragano improvviso.

La spinta a intraprendere la costruzione di un’Europa unita venne da una semplice lezione della storia: non vi può essere pace duratura tra stati se la loro sovranità è illimitata. Tra paesi che non riconoscano, sopra di sé, alcun limite alla loro sovranità, la guerra è endemica; sono possibili solo tregue temporanee, nate dalla spossatezza per la guerra passata o fondate su contrapposte paure di perdere la guerra futura, cioè sul cosiddetto equilibrio delle forze. A quell’ equilibrio si dà il nome ingannatore di pace. E l’Europa, col suo sistema di stati ciecamente devoti al culto della propria sovranità assoluta, ha causato a se stessa e al mondo più atroci sofferenze di ogni altra regione della terra; Quando, esplodendo ancora una volta, quelle sofferenze raggiunsero estremi di crudeltà mai prima conosciuti, la lezione fu appresa. Combinando il metodo di Monnet con quello di Spinelli, gli stati europei mossero passi verso una limitazione della loro sovranità, concordata e liberamente accettata, iniziando così a edificare la vera pace.

Allo stesso principio, ma per iniziativa dell’America, fu ispirato l’ordine che doveva assicurare la pace mondiale dopo la tragedia della guerra. Il sistema delle Nazioni Unite era però un’applicazione assai blanda di quel principio e si rivelò del tutto impari al compito. Non seppe impedire centinaia di guerre con milioni di vittime nella sèconda metà del secolo passato. E la pace in Europa e nell’ occidente fu la pace ingannevole dell’equilibrio delle forze; anzi, fu una lunga guerra fredda scoppiata, come tante volte era accaduto nella storia, tra i paesi che, da alleati, avevano – nel 1945 – vinto la guerra precedente.

Possiamo dire oggi che, vinta la guerra fredda nel 1989-1991, l’America, risucchiata dal vuoto che si era creato, sia stata indotta a stabilire la propria egemonia sul mondo, convinta che la sua forza militare ed economica, unita alla propria democrazia, le desse i mezzi e la legittimità per disconoscere ogni potere sopra di sé? O dire che l’alleanza occidentale abbia incominciato a dividersi in due campi che da alleati rischiano di divenire avversari e poi di scivolare in una china di ostilità crescente? Possiamo dire che l’Europa stessa si stia dividendo tra fautori della prima e fautori della seconda interpretazione e che, priva degli elementi federatori del pericolo sovietico e della protezione americana, rischi di ricadere nella logica pericolosa dell’equilibrio delle forze?

È troppo presto per tentare risposte, ma par chiaro che queste siano le dure domande che l’alba del secolo pone. E non vi è dubbio che queste domande appartengano a quello stesso mondo primitivo di relazioni tra stati sovrani che, nel secolo passato, prima precipitò nella tragedia e poi tentò di uscirne ponendo le relazioni tra stati su una base nuova. È da una riflessione su quel tipo di mondo che Spinelli, in carcere e poi al confino di Ventotene, trasse le linee che poi indirizzarono tutta la sua azione politica.
All’alba del ventunesimo secolo l’Europa manca di figure politiche capaci di guidarla così come, in successive generazioni, avevano saputo guidarla Adenauer, Schmidt, Kohl per la Germania, o Schumann, Giscard, Mitterrand per la Francia. Il cosiddetto motore franco-tedesco sembra ancora inceppato. Lo smarrimento in cui la riunificazione tedesca e la caduta del blocco sovietico hanno precipitato la sua classe politica sembra aver privato la Francia della capacità di guida, con cui ha edificato l’unione che abbiamo. La Germania non è pronta a subentrare; l’Italia è assente; la Gran Bretagna continua a vedere la propria fortuna oltre l’Atlantico e a temere, non auspicare, l’unione dell’Europa. Lo schieramento politico conservatore europeo ha perduto la guida di una formazione fortemente europeista e transnazionale come il fronte democristiano, mentre si è venuto affermando il nazional-conservatorismo spagnolo e britannico. E questa dispersione avviene in un clima di relazioni internazionali in cui, per troppe persone, vicinanza all’America e costruzione dell’unione europea sembrano essere diventate antitetiche, quasi fossero beni inconciliabili tra cui scegliere.

La memoria delle tragedie passate, quelle che il sistema degli stati a sovranità illimitata ha già provocato, si perde a poco a poco. La visione delle tragedie future, cui porta il rinascere di quel sistema su scala planetaria, è ancora offuscata dalla relativa limitatezza dei conflitti, dall’illusione dell’onnipotenza tecnologica, dalla lentezza con cui ci si sveglia alle novità.

Tenere la rotta di Altiero Spinelli e Jean Monnet è divenuta condizione essenziale ed urgente per affrontare i problemi del secolo appena iniziato. È compito assai arduo, che richiede mano ferma e orientamento sicuro.

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