Da The Washington Post del 24/07/2003

2003, nasce la “generazione E”

Europa senza frontiere, i ragazzi diventano itineranti

di Keith B. Richburg

MADRID — Per comprendere le giovani generazioni europee in marcia verso il futuro, per comprendere il futuro di un continente senza frontiere, dovete recarvi nella capitale spagnola delle feste che durano fino a notte fonda, buttar giù una bella tazzona di caffè e cercare di star dietro a Stina Lunden, una svedese di 25 anni, trapiantata a Madrid. In Spagna è molto conosciuta: bionda, con gli occhi azzurri e l’aspetto nordico, parla spagnolo, scrive per "Tiempo”, un settimanale madrileno, ed ha adottato fino in fondo lo stile di vita delle giovani generazioni spagnole. Una sera ha chiuso la porta dell’ufficio ed è partita per i divertimenti notturni, iniziando con birra e tapas in un ristorante all’aperto. La tappa successiva è stata la Plaza de Toros, l’arena a cielo aperto usata per le corride, per un concerto della banda rock di Oxford dei Radiohead.

Poi, intorno a mezzanotte via al quartiere latino dove una moltitudine di giovani affolla i marciapiedi intorno al bar El Bonanno. Il suo gruppetto di amici è eterogeneo: molti ragazzi madrileni, ma anche un italiano e un brasiliano. «In Svezia non è possibile nulla di tutto ciò — spiega Stina — la gente non esce così tanto e non sta fuori fino a tardi».

Stima appartiene alla nuova «Generazione E». La E sta per Europa, un continente che per i giovani come lei non ha più frontiere. Per la sua generazione spostarsi dalla Svezia alla Spagna è del tutto normale. Mentre a Bruxelles, nel quartiere generale dell’Unione Europea, i burocrati sgobbano per mettere a punto nuove disposizioni per forgiare un’unica e più integrata Europa con leggi su ogni aspetto della vita immaginabile, si va delineando con rapidità una nuova società, creata da giovani tra i venti e i trenta anni, peri quali è ormai un diritto acquisito vivere, lavorare e studiare ovunque, in qualsiasi città del continente. I giovani che hanno studiato come Stina si spostano sempre più lontano da casa, attraversano le frontiere lavorare, imparano sempre più lingue, stringono amicizie interculturali ed erodono lentamente gli stereotipi nazionali e le animosità che hanno contraddistinto la vita della generazione precedente, quella dei loro genitori.

lJn’infermiera finlandese di 28 anni. lavora a Dublino, sta per comperare casa e sostiene di non voler più tornare in Finlandia. Uno studente francese di 22 anni di madre italiana ha iniziato a giocare a rugby mentre stava ad Oxford per uno scambio culturale ed ora parla tre lingue e si trova a suo agio in qualsiasi paese. Un ventunenne italiano, la cui ragazza è per metà finlandese e per metà greca, dice: «Il mio passaporto è italiano,ma io mi sento europeo».

«Il principale indice di come sta cambiando il nostro paese è il numero di lingue che parlano i nostri giovani», ha spiegato Noelle Lenoir, ministro francese agli affari europei. «L’Europa sta diventando per loro troppo piccola: sono cittadini del mondo. Loro sono il mondo che cambia, noi sembriamo lontani anni luce». Come prevede la legislazione dei 15 paesi dell’Unione Europea, chi attraversa la frontiera non necessita del passaporto e non ha l’obbligo di registrarsi da nessuna parte. Ciò ha enormemente incrementato gli spostamenti sul continente e ha reso pressoché impossibile tenere sott’occhio la mobilità giovanile. Tuttavia indice rivelatore di questa nuova tendenza è lo scambio culturale di studenti conosciuto con il nome di Progetto Erasmus, che negli ultimi 10 anni ha consentito ai giovani europei di studiare ovunque in Europa.

Altro fattore che ha positivamente inciso nell’aumento della mobilità giovanile è l’avvento delle linee aeree a budget ridotto, come l’Easyjet e la Ryanair che offrono voli a prezzi stracciati tra le capitali europee. Se le generazioni passate viaggiavano essenzialmente in treno, chi appartiene alla Generazione E. adesso può salire su un aereo e viaggiare altrettanto facilmente ed economicamente.

«L’Europa non ha più frontiere», esclama Daniel Keohane, un irlandese di 27 anni, che lavora come ricercatore presso il Centro per la Riforma Europea di base a Londra. «I miei amici ed io d’estate lavoriamo in Germania — ha aggiunto — e per noi spostarci da un paese all’altro è del tutto normale». Esiste tuttavia una differenziazione di classe in questo fenomeno della nuova mobilità giovanile: i giovani europei che traslocano da un paese all’altro appartengono verosimilmente all’elite laureata, non alla classe operaia o dei contadini. «Circa il 50 per cento dei miei amici di scuola è all’estero», Alexander Stubb, un finlandese 35enne che lavora presso la Commissione Europea a Bruxelles. «Andare a vivere in un altro paese è piacevole per un giornalista o un docente universitario — dice — ma può non essere altrettanto facile per un muratore...».

Gli spostamenti dei giovani sono evidenti soprattutto quando trasformano alcune delle capitali europee in centri più cosmopoliti. Dublino, per esempio, è stata trasformata dall’afflusso di europei meridionali ed orientali arrivati per imparare l’inglese e che lavorano nei pub e negli alberghi, e soprattutto nella florida industria dei call center dove parlano al telefono con tutta Europa.
In passato il primo ostacolo alla mobilità era il problema della lingua. Così non è mai stato per lo studente francese Thomas Gilbert. «Sono francese perché i miei genitori sono francesi, ma quando vivo in Germania sogno persino in tedesco». Oggi Thomas vive e studia da fumettista a Bruxelles, a scuola incontra giovani illustratori di ogni parte del continente, parla inglese, francese e tedesco. E al bar discute con altri quattro ragazzi, tutti ventenni, di quale sia il significato di Nuova Europa. Il gruppetto è l’esempio di ciò di cui si sta parlando: la conversazione passa dal francese all’inglese, con qualche intermezzo di italiano. Ma pare che nessuno ci faccia caso.

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