Da La Repubblica del 24/07/2003

Chi fermerà Previti?

di Giuseppe D'Avanzo

ESISTE un limite ai tentativi di interferenza sul processo che ha sul banco degli imputati Cesare Previti, amico e sodale del capo del governo? Se questo confine esiste dov’è e chi deve difenderlo? L’indagine penale di Brescia contro Ilda Boccassini e Gherardo Colombo è soltanto l’ultima intrusione del potere politico in un giudizio fiorito da un caso di corruzione giudiziaria che di “politico” ha solo la carriera recente dell’imputato. E’ un tentativo alquanto grottesco.
Conviene raccontarlo e sistemarlo in modo acconcio in una sequenza di mosse che ha un solo protagonista, Cesare Previti, molti comprimari e l’obiettivo esplicito di fermare, con le buone o con le cattive, il processo di Milano chiamato «Sme», ormai prossimo alla sentenza.

***

Il 14 di luglio un avvocato di Perugia, Giacomo Borrione, presidente del «Comitato nazionale per la giustizia», denuncia a Brescia per abuso d’ufficio Boccassini e Colombo per la gestione del fascicolo di indagine numero 9520/95. E’ l’istruttoria da cui sono nati i processi. Lodo Mondadori/Imi Sir e Sme. Borrione dice che «la sua iniziativa è tecnico-giuridica, e non certo politica». Dimentica di dire che egli è un dirigente regionale di Forza Italia. Meglio, il responsabile in Umbria dei problemi della giustizia nel partito di Previti e Berlusconi.

Meglio definita, la denuncia già perde credibilità, ma è sufficiente leggere l’esposto per valutarne l’attendibilità. Borrione raccoglie in modo grossolano, e in una striminzita paginetta, le accuse ripetute da Previti e prese sul serio soltanto dagli avvocati di Previti, dai giornali vicini a Previti, dai parlamentari amici di Previti e conclude che «la condotta dei pubblici ministeri titolari di quell’indagine integra estremi di reato». L’affare è con tutta evidenza ridicolo, ma ottiene lo scopo di trasferire su un piano penale quel che Previti spera di aver ottenuto sul piano disciplinare.

Le cose sono andate così. Previti invia al ministro di Giustizia del suo governo un esposto contro i pubblici ministeri. I due nasconderebbero in quel fascicolo le prove della sua innocenza. Quali siano queste prove, non sa dirlo né immaginarlo. E’ uno sparo nel buio, alla cieca. La mossa serve soltanto per prendere tempo e allontanare la sentenza confidando di capovolgere, con l’aiuto del governo, il copione: i pubblici ministeri sul banco degli imputati, Previti medesimo assiso allo scranno del giudice.

La benedetta «prova regina» dell’innocenza di Previti, neI corso di tempo, muta più volte faccia e identità. «I giudici di Milano non hanno la competenza a indagare e decidere perché spetta ai perugini». La Cassazione gli dà torto più volte. «Le intercettazioni del bar Mandara sono state malignamente contraffatte». La procura di Perugia non ci casca. Si cambia allora. Si ritorna a un vecchio cavallo di battaglia, un must degli strepiti di Previti: le opacità della testimonianza di Stefania Ariosto. I tribunali le escludono. Si ripescano gli interrogatori dei giudici di Roma. «Furono decine, dove avete nascosto i verbali?». Furono due e i verbali ci sono. Acqua.

Bisogna farla breve (purtroppo, perché il catalogo è ricco e spassoso). Comunque, Previti resta con un palmo di naso e chiede al ministro un’ispezione nella procura di Milano; siano gli ispettori a estrarre dal fascicolo dell’inchiesta quei documenti che i tribunali gli negano. Il ministro è servizievole, si sa, e dispone l’ispezione. Al primo tentativo gli va buca. Gli ispettori Giacomo Paoloni e Matilde Camino (come ha riferito il Corriere, il 17 luglio) sostengono che le proteste dell’imputato attengono «a questioni strettamente giurisdizionali». E scrivono al ministro: sono problemi che interpellano le interpretazioni delle norme e vanno lasciati al vaglio dei giudici, intervenire con un’indagine configurerebbe il rischio di un’interferenza su procedimenti che si stanno celebrando.

Il servizievole ministro sostituisce i due neghittosi. Anche i nuovi ispettori non hanno il cuore (o la faccia) di seguire il solco tracciato da Previti: alcune delle questioni sollevate, scrivono nella relazione finale, non possono essere di nostra competenza. Ma qualcosa bisogna pur consegnare al ministro, e allora dicono che il segreto investigativo non ha motivo di essere opposto. Sanno che l’argomento è fragile (dalla parte dei pm di Milano ci sono le decisioni del Csm) e dunque giocano un carta falsa. Sposano la tesi di Previti. Sostengono che l’inchiesta 9520 è illegale perché non è stata prorogata dal giudice. Purtroppo (per Previti) un provvedimento del giudice Alessandro Rossato ha autorizzato la proroga delle indagini per il reato di corruzione in atti giudiziaria, delitto a lunga prescrizione.

Il bilancio della sfacciata interferenza politica nel processo è dunque miserello. Una relazione degli ispettori fragile in diritto e storta nei fatti che il ministro di Giustizia potrebbe utilizzare per avviare un’azione disciplinare di corto respiro contro Boccassini e Colombo. L’intrusione ha bisogno di riprendere tono. Ecco allora che un avvocato di Forza ltalia lascia Perugia per,raggiungere Brescia con una denuncia...

* * *

L’affare è troppo abborracciato e, anche se penosamente, se ne verrà a capo. Anzi, a questo punto, meglio che ogni cosa venga squaternata, vagliata, analizzata. La procura di Brescia faccia il suo lavoro presto e bene. Il Consiglio superiore della magistratura valuti, se ci sono, responsabilità disciplinari dei due pubblici ministeri di Milano. Non è una novità, peraltro, che un magistrato sia costretto a difendersi dalle accuse dei suoi imputati. Francesco Saverio Borrelli, per fare un solo esempio, ha affrontato, dal 1994 al 2001, 319 procedimenti penali (sono stati otto tra 1992 al 1993 e uno dal 1988 al 1992, anno d’inizio di Mani Pulite).

Ma il caso non può riguardare soltanto i pubblici ministeri messi sulla graticola, ma anche chi ce li ha messi, come ce li ha messi, con quale complicità e potere e silenzi. Soprattutto l’affare impone che ci si chieda quali sono e dove sono i confini del potere d’intrusione in quel processo di Milano. Detto in altro modo, chi e che cosa fermerà Cesare Previti dal confondere le carte manipolando i fatti, calunniando testimoni e giudici confidando nell’eco che raccolgono i suoi strepiti senza fondamento?

Confesso che, pur non sottovalutando per nulla l’ingiusta umiliazione cui sono sottoposti oggi Boccassini e Colombo con l’inchiesta di Brescia, non mi sembra il loro sentimento il punto centrale, che mi appare in un’altra circostanza: come la fisiologica bulimia di Berlusconi lo spinge ad attraversare le istituzioni deformandole fino a quando non incontra un limite, così Cesare Previti affronterà il processo di Milano inquinandone l’esito e la trasparenza con aggressività, spregiudicatezza e mancanza di senso della misura. Lo ha fatto finora. Lo fa oggi. Tenterà di farlo domani. Chi lo fermerà? Quel che si può dire è che, a vederli alla luce di questa storia, i limiti iscritti nelle regole dello Stato e di una democrazia liberale appaiono fragili e pericolosamente in bilico. Tre esempi.

La magistratura è intimidita. Il procuratore di Brescia protocolla il 9 luglio la denuncia dell’avvocato di Forza ltalia. Il 10 iscrive i pubblici ministeri nel registro degli indagati, senza nemmeno concedersi il tempo di valutare il livello minimo di attendibilità della denuncia. Lo avrebbe fatto se non fosse stato Previti per lo mezzo? Il procuratore generale di Milano Mario Blandini è al centro delle pressioni del ministro che gli chiede di avocare il fascicolo di indagine numero 9520/95. Sono pressioni improprie perché l’avocazione è un istituto con «un ambito di applicazione ristrettissimo». Eppure, il procuratore generale non rigetta quella sollecitazione. La lascia incubare e crescere. Lo avrebbe fatto se quelle pressioni non venissero dal ministro e dal governo?

L’informazione è compiacente. Un autorevole giornale indipendente, come La Stampa, ha ieri riferito della patacca rifilata dall’avvocato di Forza Italia alla procura di Brescia così: «Il Cavaliere è riuscito a segnare il primo goal contro il pool di Milano». I telegiornali del servizio pubblico hanno a lungo intervistato l’avvocato di Previti che si sbraccia sostenendo che, con l’indagine avviata a Brescia, «si apre un caso clamoroso di conflitto di interesse» per i pubblici ministeri «che devono essere sostituiti d’ufficio». Una riflessione sconclusionata che la Rai presenta come un dato di fatto, indiscutibile. Come se ci potesse liberare di un pubblico ministero chiedendo al proprio cameriere di denunciarlo nella procura più vicina.

Infine, l’opposizione politica. E’ come imbarazzata e vergognosa. Bene fa a non occuparsi dei processi a Berlusconi e Previti e meglio fa a non immaginare che una condanna penale possa sostituire il consenso elettorale. Tuttavia, quest’affare la chiama in causa per il mestiere di controllo sulle attività del governo. Può il ministro di Giustizia usare l’ufficio ispettivo del ministero per condizionare i processi in corso o intimorire procuratori e presidenti di tribunale? Con quale criterio vengono scelti gli ispettori? E in quale condizioni di serenità lavorano?

Se questi confini reggeranno (i limiti della legge, dell’informazione, della politica), l’offensiva di Previti troverà un ridimensionamento. Se quei limiti cederanno, non saranno soltanto i pubblici ministeri di Milano a perdere un processo.

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