Da Famiglia cristiana del 01/01/2003
Il messaggio per la giornata mondiale, a 40 anni dalla "Pacem in Terris"
La pace, speranza che non teme il futuro
di Andrea Riccardi
La pace è in pericolo. Il terrorismo sembra minacciare i Paesi del benessere. Tante guerre aperte sono una piaga per molte regioni del mondo, specie del Sud. Si pensi alla Costa d’Avorio, Paese africano dal passato piuttosto solido, ora scivolato in un temibile confronto, a rischio di libanizzazione, cioè di lotta tra cristiani e musulmani. C’è poi il conflitto che da mezzo secolo dilania la Terra Santa. Aleggia infine la prossima guerra all’Irak.
In questo quadro, si guarda con attenzione al messaggio del Papa che parla di pace. Non è un caso che la sua voce si faccia carico di quell’interesse generale che è la pace. Anche negli anni ’60 la parola di Giovanni XXIII fu ascoltata nella crisi di Berlino e, soprattutto, di Cuba, in cui Usa e Urss furono a un passo dallo scontro atomico.
C’è una somiglianza tra la situazione di allora e la nostra. Forse per questo, a 40 anni dalla Pacem in terris, Giovanni Paolo II riparte da quella famosa enciclica: Pacem in terris: un impegno permanente è il titolo del Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata della pace. Quella di Giovanni XXIII fu la prima enciclica sulla pace. In 40 anni la situazione internazionale è cambiata: dalla guerra fredda si è passati a una guerra diffusa, frutto di tante logiche, spesso complicate, ma non di meno minacciose. L’arma atomica, in mano a un club di nazioni potenti negli anni ’60, oggi circola pericolosamente tra Stati o addirittura gruppi del terrore. Oggi molti sono in grado di fare la guerra: troppi.
Nel 1963, Giovanni XXIII colse la diffusa attesa di pace in «un mondo diviso», come si legge nel Messaggio. Papa Roncalli, che aveva conosciuto da vicino due guerre mondiali con la loro brutalità, il dolore del popolo ebraico durante la persecuzione nazista, non si rassegnò alla guerra: «Non era d’accordo con coloro che ritenevano impossibile la pace». Giovanni XXIII si trovò a fare i conti con una cultura e una politica che ritenevano inevitabili la guerra e la violenza. Questo è un grave rischio culturale e politico anche oggi per noi: accettare la guerra come normale.
La Chiesa del Novecento sa come le guerre feriscano in profondità il mondo e lascino un’eredità imprevedibile. Tanta attenzione del pontificato romano si è concentrata, nel XX secolo, su come evitare che la guerra sia una compagna ineliminabile della storia. Da qui l’appoggio all’Onu, nonostante la sua vita difficile. La pace e la guerra riguardano il mondo intero. Il messaggio della Pacem in terris è chiaro e non archiviato: la pace è un «bene comune universale», che rinvia alla necessità di un’autorità pubblica universale: ogni guerra diventa una minaccia per i vicini, per la stabilità del mondo, per l’intera umanità.
Giovanni XXIII – secondo il Messaggio per la Giornata della pace – «interpretò le spinte profonde che erano all’opera nella storia. Malgrado le guerre e le minacce di guerre, c’era qualcosa d’altro all’opera nelle vicende umane, qualcosa che il Papa colse come il promettente inizio di una rivoluzione spirituale». In effetti, gli anni ’60 furono caratterizzati dall’emergere di movimenti per i diritti umani, che rappresentarono un tarlo per i regimi autoritari. Non si può dimenticare che i regimi comunisti non hanno retto al duro confronto economico (anche per lo sviluppo delle forze armate) contro il blocco occidentale.
È possibile oggi innescare una nuova «rivoluzione spirituale»? Dopo l’89 abbiamo sperato in una pace solida; ma il grande vantaggio della fine della Guerra fredda è stato in parte sperperato negli anni successivi, anche per l’assenza di un’autorità pubblica internazionale. Oggi soprattutto bisogna ricostruire una nuova coscienza di pace che, come ha insegnato Giovanni XXIII, si fondi sul Vangelo e sia aperta alla collaborazione con gli «uomini di buona volontà».
La pace è profondamente ragionevole, ma anche frutto di una forte speranza cristiana. È questa la speranza con cui affrontiamo il nuovo anno, consapevoli di andare incontro a orizzonti cupi. Essere richiamati all’eredità di papa Giovanni, che «era persona che non temeva il futuro», secondo papa Wojtyla, è andare alle radici di questa speranza.
In questo quadro, si guarda con attenzione al messaggio del Papa che parla di pace. Non è un caso che la sua voce si faccia carico di quell’interesse generale che è la pace. Anche negli anni ’60 la parola di Giovanni XXIII fu ascoltata nella crisi di Berlino e, soprattutto, di Cuba, in cui Usa e Urss furono a un passo dallo scontro atomico.
C’è una somiglianza tra la situazione di allora e la nostra. Forse per questo, a 40 anni dalla Pacem in terris, Giovanni Paolo II riparte da quella famosa enciclica: Pacem in terris: un impegno permanente è il titolo del Messaggio di Giovanni Paolo II per la Giornata della pace. Quella di Giovanni XXIII fu la prima enciclica sulla pace. In 40 anni la situazione internazionale è cambiata: dalla guerra fredda si è passati a una guerra diffusa, frutto di tante logiche, spesso complicate, ma non di meno minacciose. L’arma atomica, in mano a un club di nazioni potenti negli anni ’60, oggi circola pericolosamente tra Stati o addirittura gruppi del terrore. Oggi molti sono in grado di fare la guerra: troppi.
Nel 1963, Giovanni XXIII colse la diffusa attesa di pace in «un mondo diviso», come si legge nel Messaggio. Papa Roncalli, che aveva conosciuto da vicino due guerre mondiali con la loro brutalità, il dolore del popolo ebraico durante la persecuzione nazista, non si rassegnò alla guerra: «Non era d’accordo con coloro che ritenevano impossibile la pace». Giovanni XXIII si trovò a fare i conti con una cultura e una politica che ritenevano inevitabili la guerra e la violenza. Questo è un grave rischio culturale e politico anche oggi per noi: accettare la guerra come normale.
La Chiesa del Novecento sa come le guerre feriscano in profondità il mondo e lascino un’eredità imprevedibile. Tanta attenzione del pontificato romano si è concentrata, nel XX secolo, su come evitare che la guerra sia una compagna ineliminabile della storia. Da qui l’appoggio all’Onu, nonostante la sua vita difficile. La pace e la guerra riguardano il mondo intero. Il messaggio della Pacem in terris è chiaro e non archiviato: la pace è un «bene comune universale», che rinvia alla necessità di un’autorità pubblica universale: ogni guerra diventa una minaccia per i vicini, per la stabilità del mondo, per l’intera umanità.
Giovanni XXIII – secondo il Messaggio per la Giornata della pace – «interpretò le spinte profonde che erano all’opera nella storia. Malgrado le guerre e le minacce di guerre, c’era qualcosa d’altro all’opera nelle vicende umane, qualcosa che il Papa colse come il promettente inizio di una rivoluzione spirituale». In effetti, gli anni ’60 furono caratterizzati dall’emergere di movimenti per i diritti umani, che rappresentarono un tarlo per i regimi autoritari. Non si può dimenticare che i regimi comunisti non hanno retto al duro confronto economico (anche per lo sviluppo delle forze armate) contro il blocco occidentale.
È possibile oggi innescare una nuova «rivoluzione spirituale»? Dopo l’89 abbiamo sperato in una pace solida; ma il grande vantaggio della fine della Guerra fredda è stato in parte sperperato negli anni successivi, anche per l’assenza di un’autorità pubblica internazionale. Oggi soprattutto bisogna ricostruire una nuova coscienza di pace che, come ha insegnato Giovanni XXIII, si fondi sul Vangelo e sia aperta alla collaborazione con gli «uomini di buona volontà».
La pace è profondamente ragionevole, ma anche frutto di una forte speranza cristiana. È questa la speranza con cui affrontiamo il nuovo anno, consapevoli di andare incontro a orizzonti cupi. Essere richiamati all’eredità di papa Giovanni, che «era persona che non temeva il futuro», secondo papa Wojtyla, è andare alle radici di questa speranza.
Sullo stesso argomento
Articoli in archivio
di Valéria Reis su Jornal do Brasil del 27/01/2005
«Ora mille Nassiriya» Tutti contro i Cobas. La sinistra: orribile
Prodi: vergogna. Bertinotti: non ci sono scusanti Ma il centrodestra all’Ulivo: ecco i vostri alleati
Prodi: vergogna. Bertinotti: non ci sono scusanti Ma il centrodestra all’Ulivo: ecco i vostri alleati
di Roberto Zuccolini su Corriere della Sera del 05/06/2004
di Massimo Franco su Corriere della Sera del 05/06/2004
News in archivio
Nuovo appello di Benedetto XVI a israeliani e Hezbollah perchè abbandonino le armi
Medio Oriente: il Papa chiede il cessate il fuoco "Al via dialogo per pace duratura"
Il pontefice ha anche chiesto alle organizzazioni umanitarie di far pervenire aiuti ai civili colpiti
Medio Oriente: il Papa chiede il cessate il fuoco "Al via dialogo per pace duratura"
Il pontefice ha anche chiesto alle organizzazioni umanitarie di far pervenire aiuti ai civili colpiti
su La Repubblica del 23/07/2006
su Agi del 10/01/2006
In biblioteca
di Cindy Sheehan
Sperling & Kupfer, 2006
Sperling & Kupfer, 2006