Da Panorama del 03/07/2003

Le due superpotenze planetarie a confronto

Perché facciamo paura all’America

Oltreoceano l’Ue appare fortissima, più di quanto essa stessa non sospetti. Tanto che a Washington c’è chi lancia l’allarme: Bruxelles ha tutte le carte in regola per tentare il sorpasso.

di Massimo Franco

La psicosi degli Usa è condensata in un disegno: un Superman europeizato, con in testa il basco francese e la sigla dell’Unione Europea stampata sul petto al posto della storica S. li nuovo superuomo vola e sorride sulla copertina di The NewRepublic, bibbia del conservatorismo americano. E all’interno ronza una domanda fastidiosa: «Gli Use supereranno gli Usa?» si chiede la didascalia, tradendo un filo di inquietudine. Use? Sì, nel senso di United States of Europe, Stati Uniti d’Europa. E un acronimo che nel Vecchio continente si permettono soltanto i sognatori, gli ideologi del federalismo o i suoi più decisi nemici. L’impressione di un mucchio caotico e litigioso di nazioni divise da una babele anche linguistica è dura a morire: affonda in una storia secolare e nelle beghe di questi mesi. Eppure, il futuro prometterebbe una superpotenza allo stato nascente, che fa paura: in primo luogo all’impero americano.
La sostanza è semplice, lucida e brutale come la mentalità d’Oltreoceano. «Con la nuova Costituzione federale degli “Stati Uniti d’Europa”» ha scritto l’ultraconservatore Andrew Sullivan sull’ultimo numero della rivista «le tendenze anti Usa saranno sottilmente ma profondamente istituzionalizzate. E tempo che gli americani si sveglino e affrontino la nuova minaccia». Così, per capire che cosa sia l’Ue, quale evoluzione e quale successo sia destinata ad avere, bisogna distogliere lo sguardo da Bruxelles, dalle polemiche fra Italia e Francia, dagli attacchi del Financial Times.

Occorre misurare, invece, la febbre al primato statunitense, captare le ansie e l’improvvisa insicurezza degli intellettuali di fronte a un fenomeno che a Washington e a New York sembrano percepire nelle sue esatte potenzialità.
Oltreoceano l’Ue appare forte, fortissima: più di quanto essa stessa non sospetti. Una specie di collage gigante, costruito con 25 pezzi e ignaro di avere la testa e i muscoli che qualcuno adesso le riconosce con un filo di apprensione. Sullivan parla apertamente, fin dal titolo: «Euro-minaccia». E abbozza gli «Use» del futuro prossimo come una realtà coesa. Capace di calamitare anche i paesi più riottosi, a cominciare dalla Gran Bretagna eurofobica per vocazione. E decisa a moderare, con le buone o con le cattive, le pulsioni filoamericane di qualunque suo membro: tanto più dei nuovi arrivati dall’Est come la Polonia.
L’«Europa vecchia» alla quale aveva irriso Donald Rumsfeld, segretario Usa alla Difesa, nei giorni bollenti della dissociazione di Francia e Germania dalla guerra contro Saddam Hussein, è vista come un pericolo corposo, non alla stregua di un residuo del passato. Presto «ci sarà un presidente europeo a tempo pieno, eletto dai capi di governo. E ci sarà un ministro degli Esteri degli Use, l’uomo al quale un tempo Henry Kissinger si lamentava di non potere telefonare».
E un’analisi che mostra due Occidenti separati, anzi potenzialmente avversari. In realtà, le economie dei due continenti sono strettamente legate. Al punto. che il vero rischio «è un crollo dell’economia Usa, fortemente squilibrata» sostiene Philippe Legrain, economista principe del progetto inglese «Britain in Europe». Lo schianto «trascinerebbe con sé il resto del mondo». Non solo. Probabilmente anche l’Europa potrebbe vedersi costretta a utilizzare metodi americani nei suoi scambi commerciali.
Ma le fobie di Sullivan riflettono la pancia degli Stati Uniti; indicano la debolezza psicologica del vincitore nel dopo Saddam. E contraddicono i luoghi comuni su un continente europeo definito con sprezzo «Venere» da un neoconservatore come Rober Kagan: una femminuccia spaventata dall’uso delle armi e dalla forza militare di «Marte», il pianeta yankee. Eppure, specchiandosi in questo incubo del sorpasso da parte di un alleato finora fedele e remissivo, una verità si intravede: «L’idea europea ha vinto ogni battaglia che ha combattuto. E sarebbe stupido scommettere contro proprio adesso». E il sostegno di alcuni paesi alla guerra degli Stati Uniti in Iraq? L’asse anglo-italo-spagnolo? L’inclinazione filo Bush di Varsavia? Fenomeni transitori. Schiacciati, nell’ottica di New Republic, dall’inesorabilità del processo di integrazione sotto il controllo ferreo dell’«asse Francia-Germania più Belgio, Olanda e Lussemburgo».

Per mostrare le velleità polacche, Sullivan spiega che al governo di Bruxelles basterà minacciare una riduzione degli aiuti all’agricoltura o all’industria polacche. Inutile illudersi, aggiunge: presto, la strategia mutuata dal vecchio Impero romano, il «divide et impera», non funzionerà più. «Nel prossimo conflitto globale, la speranza francese è che il presidente Usa non possa più trattare con i primi ministri inglese, spagnolo o polacco. Dovrà telefonare al presidente degli Use a Bruxelles. E non sarà una conversazione facile» scrive Sullivan.
Quanto agli altri Stati Uniti, quelli «veri» e già iperpotenti, il loro margine di reazione si sarebbe ridotto drasticamente. Non possono fare molto, secondo The NewRepublic. Ma qualcosa debbono inventare, per non uscire battuti da questo larvato braccio di ferro strategico. L’Europa non rappresenta una minaccia militare, ma può zavorrare il protagonismo statunitense come un gigantesco peso morto. Obiettivo finale: restituire al Vecchio continente quel «potere globale perduto in due guerre mondiali e nel secolo americano appena finito». A spese dell’America, naturalmente. Se questo è lo scenario, gli Stati Uniti debbono scongiurano quanto prima: studiare «il modo per evitare che la nuova costituzione europea diventi realtà, e per salvaguardare la lealtà dei paesi europei filoamericani. Occorre salvare la nuova Europa dall’abbraccio sfiancante e maligno della vecchia». Un’impresa da titani.

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