Da Corriere della Sera del 04/08/2003

«Così gli squali di Wall Street hanno affossato l' Argentina»

«L' hanno coperta di dollari e poi l' hanno abbandonata» Inchiesta del «Washington Post»: «Sono responsabili della crisi»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Wall Street ebbe un ruolo cruciale nella bancarotta dell' Argentina, la seconda economia del Sudamerica dopo il Brasile. La descrisse come il Paradiso del libero mercato, il Paese in più rapida espansione al mondo, un Eldorado finanziario. Le prestò somme strepitose, ne propagandò e vendette le obbligazioni, ci guadagnò quasi un miliardo di dollari. E nascose, pur conoscendole, i suoi squilibri. Per un decennio, dal 1991 al 2001, la additò a modello ai Paesi emergenti. Alla fine, quando si rese conto dell' inevitabilità del suo crollo, la abbandonò, e con essa abbandonò i suoi investitori, grandi e piccoli, tra cui 350-400 mila italiani, lasciandoli con un pugno di carte senza valore in mano. L' Argentina si ritrovò sul lastrico, con un debito di 141 miliardi di dollari che non è in grado di pagare, il 30 per cento di disoccupati, la gente alla fame e le proteste nelle strade. Questo quadro è stato tracciato dal Washington Post in una inchiesta di due pagine dal titolo: «L' Argentina non cadde da sola». E' una bruciante denuncia degli «squali» di Wall Street, come li chiamano i media Usa: i finanzieri d' assalto che prima elargiscono dollari ai Paesi più ambiziosi, poi li dissanguano. Ricordate le storie della Enron, il gigante finanziario texano, e della Worldcom, la più grande società di telecomunicazioni del mondo, finiti in bancarotta uno nel 2001, l' altra nel 2002? Quando esplosero i due scandali, Wall Street dovette fare mea culpa: i suoi analisti ne avevano gonfiato i titoli, le sue banche d' investimento ne avevano nascosto i deficit di bilancio, i suoi speculatori si erano arricchiti. Ebbene, stando al Washington Post, l' Argentina è la Enron o la Worldcom della comunità della nazioni, e Wall Street dovrebbe battersi daccapo il petto, e aiutare la sua vittima. L' analisi del quotidiano è impressionante. A mano a mano che i dollari affluivano in previsione del boom dell' economia, il governo argentino emetteva nuove obbligazioni, indebitandosi sempre più, un comportamento irresponsabile, ma favorito dal capitale Usa. Tra i manager e gli analisti di Wall Street non mancava chi diffidava di questo circolo vizioso. Ma era gente che grazie a esso percepiva fino a 900 mila dollari all' anno di premio e di stipendio, e le banche speravano di potere fare il bis altrove, in Brasile innanzitutto. Se qualcuno nutriva dei dubbi, li esprimeva in privato: fu il caso, riferisce il quotidiano, di Desmond Lachman della Salomon Smith Barney che per primo vide profilarsi il disastro ma non avvertì gli investitori. Ancora nel 2000, David Sekiguchi della Morgan scriveva sulla crisi argentina, allora solo agli inizi, un saggio intitolato «Tanto rumor per nulla». Il giornale afferma che nel ' 98, quando la situazione era ancora rimediabile, Teresa Ter Minassian, un dirigente del Fondo monetario, sollecitò invano l' Argentina a ridurre il tremendo disavanzo di bilancio, che aveva raggiunto il 41 per cento del Prodotto interno lordo: «Siete una bomba che può scoppiare in qualsiasi momento». Nel ' 99 incominciò la recessione e l' anno successivo Charles Colomiris, un economista della Columbia University di New York, consigliò all' Argentina, anch' egli inutilmente, di ridurre subito del 30 per cento i pagamenti del suo debito. Invece nel 2001 il ministro Domingo Cavallo accolse il suggerimento di un vecchio amico, il presidente della Credit Suisse First Boston, David Mulford: uno «swap» o scambio tra vecchie e nuove obbligazioni. L' ultimo errore. La Banca di Mulford ricevette 100 milioni di dollari per l' operazione, e l' Argentina calò a picco. Il Washington Post ha intervistato un' italiana, Felicia Migliorini, residente a Roma, che nel marzo del 2001 investì i suoi risparmi in obbligazioni argentine. «Ha perso quasi tutto - scrive il giornale - è stata costretta a mettere in vendita il suo appartamento, si sente ingannata dalle banche». La signora è una delle centinaia di migliaia di europei a cui l' Argentina deve 24 miliardi di dollari. Sarà fortunata se ne rivedrà una parte. Ma anche se l' Argentina tornasse a galla, insiste il quotidiano, Wall Street dovrebbe essere chiamata a rispondere della propria condotta. E' lo stesso parere di un «pentito», Hans Rudloff, un dirigente della Barclays Capital: «Abbiamo fatto cose che sapevamo sbagliate e che erano solo nel nostro interesse. Dobbiamo evitare che la vicenda si ripeta».

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