Da Salon del 02/06/2003

Morte sul Nilo

L'Egitto è il paese con il più alto numero di malati di epatite C. All'origine dell'epidemia gli errori commessi dalle autorità sanitarie egiziane

di Dawn MacKeen

Annidato tra i due rami del fiume, il delta del Nilo è un posto dove tutto sembra crescere. I girasoli costeggiano le strade; scalogni grossi come un pugno spuntano dal terreno. Chilometri e chilometri di canali irrigano rigogliose distese verdi. Situato solo a qualche ora dal Cairo, Ei Tod sorge ai bordo di una strada che alterna polvere e sabbia avegetazione lussureggiante. I cammelli sono legati ai pali accanto a carri carichi di ortaggi e alle vetrine delle macellerie da cui pendono carcasse di animali.

In questo villaggio le notizie vengono ancora trasmesse a voce e le persone coinvolte sono di solito note a tutti.
"Sta cercando la famiglia Al Sayeed?", chiede un uomo passando accanto alla mia macchina che procede a passo d'uomo. Mi guida lungo un vicolo disseminato di rifiuti, accanto abambini che giocano, verso il modesto appartamento degli Al Sayeed. Una voce lamentosa annuncia il calar del sole, il momento della preghiera.
Stasera la maggior parte della famiglia Al Sayeed è riunita in un'unica stanza: mi stanno aspettando. Hamdy, il padre, è presente solo in una foto incorniciata appesa alla parete. L'uomo, che ha cinquant'anni, si trova in un letto di ospedale alla periferia del Cairo. I suoi vicini sanno perché non è a casa. Sanno anche perché il cugino di Hamdy certi giorni non si presentaal suo negozio di abbigliamento – probabilmente è troppo debole – e perché un altro cugino, Hamed Zayed, è rimasto a El Tod invece di trasferirsi in Arabia Saudita come aveva intenzione di fare. Perché? Prima di partire Zayed ha dovuto fare un esame del sangue. E come molte altre persone di Ei Tod è risultato positivo.
La malattia che ha colpito gli Al Sayeed non è l'aids. Le loro cartelle cliniche raccontano la storia di un altro agente patogeno, il virus dell'epatite C (hcv), che colpisce dai 130 ai 170 milioni di persone in tutto il mondo. Il virus si diffonde soprattutto attraverso il sangue e si trasmette in molti modi diversi, dal consumo di droga per via endovenosa al tatuaggio e al piercing. In tutto il mondo, l'hcv è diffuso tre o quattro volte più dell'hiv, e non esiste vaccino per fermano. Tuttavia, forse perché è un compagno benigno per la maggior parte dei suoi portatori, l'hcv non viene percepito come un'emergenza sanitaria.

PREVISIONI ALLARMANTI
Secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità, il numero di persone che in tutto il mondo sono infette da questo virus altamente contagioso continuerà ad aumentare tra il 2015 e il 2035. In molti casi le conseguenze del contagio sono fatali. Negli Stati Uniti, ogni anno muoiono di hcv dalle ottomila alle diecimila persone e, secondo la United Network for Organ Sharing, negli ultimi dieci anni il numero di americani in attesa di un trapianto di fegato èaumentato di quasi sei volte. Se le donazioni di organi non aumenteranno drasticamente, avverte l'organizzazione, non ci saranno abbastanza fegati disponibili quando ce ne sarà un disperato bisogno. Non sono sufficienti neanche adesso.
"L'epatite C non è ancora temuta come l'aids. Non spinge i paesi a fare qualcosa", dice Harvey J. Alter, che dirige la sezione malattie infettive dei National Institutes ofHealth. "Ma in realtà, è un grosso problema in tutto il pianeta". L'Egitto, con una percentuale della popolazione portatrice di anticorpi del virus che va dal 12 al 15 per cento, è ai primi posti della classifica dei paesi più colpiti dall'hcv (negli Stati Uniti la percentuale èdell'1,8 per cento). Gli El Sayeed vivono in una regione che è al centro della crisi. Gli studi condotti nei villaggi sul delta del Nilo dimostrano che circa metà degli abitanti al di sopra dei 35 anni hanno il virus o l'hanno avuto in passato.
"Ne abbiamo sentito parlare due anni fa", spiega il fratello di Hamdy, Moawed El Sayeed. "Ne abbiamo sentito parlare ma non abbiamo visto nessun malato. Adesso molte persone hanno l'epatite. Sono sicuro che se faccio il test molto probabilmente risulterò positivo".
In Egitto, e negli Stati Uniti, questa bomba a orologeria virale scoppierà nei prossimi anni. E ancora molti portatori cronici non sanno di esserlo. In alcuni casi, in Egitto le persone sanno di essere malate ma non sono in grado di distinguere il virus di cui sono portatori da quelli degli altri tipi di epatite: A, B, D ed E.
I costi proibitivi e la limitata efficacia dei trattamenti con i più recenti antivirali peggiorano le cose. La situazione èsimile a quella dell'hiv. In Egitto non èpossibile fornire i farmaci a tutti quelli che ne hanno bisogno. Un'ulteriore complicazione è costituita dal fatto che i trapianti di fegato qui sono praticamente impossibili: prelevare un organo da un morto è culturalmente inconcepibile in Egitto.
La grave situazione egiziana dovuta al numero delle vittime e alle difficoltà di trattamento – fa del paese un caso degno d'attenzione. In realtà, l'Egitto è uno dei laboratori della ricerca mondiale sull'hcv. Qui gli epidemiologi stanno monitorando il gruppo di pazienti più numeroso del mondo nel momento in cui decine di anni dopo l'inizio del contagio -si manifestano le conseguenze più gravi come la cirrosi o il cancro del fegato.
Ma la tragedia dell'Egitto presenta anche un aspetto particolare. Qui il virus sarebbe stato diffuso, involontariamente, tramite le siringhe mal sterilizzate usate dai medici nel quadro di una campagna nazionale contro la bilharziosi, una malattia che colpiva milioni di contadini e di altri abitanti della regione dei Nilo. La campagna che adesso si ritiene sia stata la principale responsabile dell'epidemia di hcv, cominciò prima che l'epatite C venisse identificata. Adesso gli epidemiologi sostengono che potrebbe trattarsi della più vasta diffusione di un virus provocata da una scelta di politica sanitaria.
La maggior parte della popolazione considera quello che sta succedendo come il volere di Allah, e non sembra minimamente indignata per le responsabilità del governo. Le autorità egiziane preferiscono non parlare della campagna contro la bilharziosi, e perfino i medici che stanno facendo ricerche sull'hcv, pur ammettendo che c'è stato un problema, minimizzano la gravità delle sue conseguenze.
Alcuni studiosi dell'università del Maryland che tre anni fa pubblicarono su Lancet uno studio in cui collegavano la prevalenza di epatite C in Egitto alle iniziative del governo sono reticenti a discutere dell'impatto della malattia. L'università ha un progetto per la prevenzione dell'epatite C nel paese mediorientale e sta esaminando i canali di trasmissione. "Quando la ricerca fu pubblicata, sui giornali apparvero titoli che dicevano: 'Con i suoi aghi sporchi il ministero della sanità ha contagiato con l'epatite C milioni di persone'", dice George T. Strickland, che dirige la divisione sanità internazionale dell'università del Maryland ed è uno degli autori dello studio. "È stato imbarazzante e ingiusto perché significava giudicare in retrospettiva qualcosa che nelle intenzioni delle autorità doveva curare la gente e invece ha finito per farla ammalare".

FIUMI PERICOLOSI
In quegli stessi corsi d'acqua che danno vita al verdeggiante delta del Nilo si annida un verme parassita chiamato schistosoma. La famiglia El Sayeed ha subìto il suo attacco in un momento particolarmente felice, quando, da bambini, andavano al canale Ferhashe per fare una nuotata e un picnic. Il Ferhashe, che scorre alle porte della città, è uno dei pochi luoghi dove si può andare a cercare un p0' di sollievo quando la temperatura raggiunge i 40 gradi.
Lo schistosoma entra nel corpo attraverso la zona morbida tra le dita dei piedi. Poi si immette nel flusso sanguigno e depone le uova che si vanno a depositare in organi come il fegato, lavescica e l'intestino. Un eccesso di queste uova che causa la bilharziosi, o schistosomiasi può portare al cancro della vescica e a volte alla morte. La vittima più celebre della bilharziosi fu Abdel Halim Hafez, un famosissimo cantante egiziano morto negli anni settanta in seguito alle complicazioni della malattia.
L'Egitto è stato il paese del mondo più colpito dalla bilharziosi: nelle zone agricole come quella del delta, i cui abitanti hanno bisogno dell'acqua per le coltivazioni, il 70 per cento della popolazione di alcune comunità rimase contagiato. Molti membri della famiglia Ei Sayeed, tra cui Hamdy, si ammalarono. Fu per affrontare questa epidemia che il governo avviò una campagna nazionale per curare le persone affette dalla malattia e impedire che altre venissero contagiate.
"La schistosomiasi uccideva la gente, non potevano camminare, pendevano sangue dalla bocca, stavano morendo anche alcuni giovanissimi", dice il dottor Mohamed Abdel Hamid, nel suo ufficio del Cairo presso il Laboratorio per lo studio dell'epatitevirale della facoltà di medicina dell'università del Maryland. "E per questo che cominciarono la campagna. All'epoca non sapevano nulla dell'hcv". L'epatite C è stata individuata solo nel 1989: fu allora che le diedero ilnome attuale al posto dell'ambiguo "epatite non A e non B". Il test di accertamento fu messo a punto solo tre anni dopo. Durante la campagna contro la bilharziosi, ai pazienti venivano fatte 10 o12 iniezioni di tartaro emetico per eliminare i distomi dal sangue. Anche se il suo inizio risale agli anni venti, la campagna continuò fino agli anni sessanta. L'alta prevalenza di hcv nella regione del delta può essere spiegata dal fatto che qui la campagna è durata più a lungo, fino a metà degli anni ottanta, quando le medicine per via orale sostituirono le endovenose.

LA DIETA MIRACOLOSA
"Era bello nuotare, ma se avessi saputo che avrei preso La malattia, non lo avrei fatto", dice Hamdy Ei Sayeed. Il colore giallastro della sua pelle e dei suoi occhi, conseguenza della cirrosi, contrasta con il bianco del copricapo da preghiera e della tunica che indossa in ospedale. Hamdy cominciò a sentire gli effetti dei virus 25 anni fa. Improvvisamente cominciò a sentirsi molto stanco. Poi il colore dei suoi occhi cambiò. Qualcuno gli disse che la canna da zucchero, la marmellata d'arance e il miele – le cui proprietà curative sono citate nel Corano avrebbero potuto curare questa misteriosa malattia. E sembrava che funzionassero.
Hamdy seguì questa dieta per anni, finché non riuscì più a cancellare ilgiallo sempre più cupo della sua pelle. Anche attività semplici come camminare divennero faticose. Quando finalmente si rivolse ai medici e fu sottoposto al test dell'epatite C, risultò positivo. Tre mesi dopo, finì in questo ospedale del Cairo. "Il tasso di mortalità è alto perché lagentesi presentatroppo tardi", dice il dottor Hesham Dabbous, assistente di medicinatropicale e malattie del fegato all'università Ain Shams. "Lo verifico tutti i giorni. Sono convinti di essere perfettamente sani e non avvertono alcun sintomo. Intanto il fegato subisce dei danni e quando i pazienti arrivano qui, malattie come la cirrosi, le emorragie dell'apparato digestivo, il cancro del fegato e l'insufficienza epatica sono ormai allo stadio finale".
Negli ultimi dieci anni i casi di cirrosi sono notevolmente aumentati in Egitto, e il cancro del fegato è salito al terzo posto trai tumori più diffusi. Circa sei anni fa, i medici dell'Istituto per i tumori del Cairo vedevano un caso di cancro del fegato a settimana o ogni due settimane. Adesso ce n'è uno al giorno. Se facciamo un confronto, negli Stati Uniti questo tumore non è neanche tra le dieci forme più frequenti.
Per la maggior parte dei suoi portatori, il virus dell'epatite C non è mortale. I medici non capiscono perché dal 20 al 50 per cento delle persone riescono a liberarsi da sole dall'hcv, e gli anticorpi restano l'unico segnale della sua presenza. Non capiscono nemmeno perché comporta gravi complicazioni, come la cirrosi e il cancro del fegato, solo nel 20 per cento dei casi. Per quei pazienti, il virus può essere altrettanto pericoloso dell'hiv. E la scoperta di un vaccino è ancora molto lontana.

LE CURE
"Non è frustrante?", chiede il dottor Robert Purcell. Purcell, che dirige la sezione virus epatici dell'Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive, va in Egitto dal 1997 per studiare l'hcv. "Ho lavorato alla ricerca del vaccino per l'epatite B, l'epatite A, l'epatite E. Sono stati tutti molto più facili di quello per l'epatite C. Facciamo tutte le cose giuste eppure non funziona. Proprio come quello dell'hiv".
Negli Stati Uniti, i medici di solito prescrivono antivirali ai pazienti affetti da hcv. Farmaci come il peginterferone e laribavirina, presi per 48 settimane, aiutano il 55 per cento dei pazienti aliberarsi dal virus per almeno sei mesi dopo il trattamento. Ma l'efficacia della terapiavariadagenotipo agenotipo, ed è così costosa che un paese come l'Egitto non può sostenerne il costo per tutti quelli che ne hanno bisogno.
Dabbous, dell'università Ain Shams, dice che uno degli aspetti più deludenti del suo lavoro è veder progredire la malattiain quei pazienti ai quali non può offrire altro che vitamine ed erbe cinesi, o metodi per alleviare temporaneamente la loro sofferenza. Ma un ciclo di trattamento con gli antivirali che non sono neanche tanto efficaci contro il genotipo più comune in Egitto – costa ventimila dollari e solo pochi possono permetterselo. Inoltre, le autorità egiziane dicono che forse si otterrebbero migliori risultati se si utilizzassero i soldi perla prevenzione. "Credo che tutti in Egitto sappiano che esiste il problema dell'epatite C", dice il dottor Mohamed M. Zahran, professore di urologia all'università del Cairo e presidente della commissione sanità del partito di opposizione, al Wafd. "Il governo dovrebbe affrontare la realtà e chiedere aiuti finanziari. Abbiamo bisogno dell'aiuto di altri paesi, come gli Stati Uniti el'Europa, per curare i nostri pazienti".

ALL'OSPEDALE
Il dottor Zahran è convinto che l'Egitto abbia bisogno della comunità internazionale per controllare la malattia, per pagare i farmaci e il trapianto di organi. Questo ridurrebbe notevolmente la trasmissione e il tasso di morbilità. Ma perfino i funzionari dell'Organizzazione mondiale della sanità sostengono che non è così semplice. Oltre all'enorme costo economico per un paese povero come l'Egitto, dove gli antivirali funzionano nel 50 per cento dei casi quando possono essere usati, la cura comporta gravi effetti collaterali come depressione, disturbi della personalità, affaticamento, nausea e perdita di peso.
In Egitto esistono poi ostacoli culturali e religiosi all'effettiva prevenzione e cura dell'hcv. Molti ignorano le sue origini e il modo in cui viene trasmesso: il fatalismo sulla possibilità di contrarre la malattia crea un pericoloso clima di rassegnazione e imprudenza. E i pregiudizi culturali nei confronti dei trapianti vanificano le possibilità di sopravvivenza dei malati più gravi, a meno che non possano andare all'estero per l'intervento. Quando si va nel reparto malattie epatiche in un ospedale alla periferia del Cairo, dove sono ricoverati i pazienti debilitati dal virus, è difficile ignorare la gravità di questa malattia.
Talaat Hassan ha 54 anni ed è padre di tre figli. "Non tocco mai i miei ragazzi perché ho paura di contagiarli", racconta. "Sono isolato in una stanza e cerco di non abbracciare e baciare nessuno. Mangio da solo e vivo da solo mentre la mia famigliavive nel resto della casa". Mentre parla, un tubo drena il liquido contenuto nel suo ventre in una bottiglia di plastica. L'eccesso di liquido gonfia la parte centrale del ventre fino a farlo sembrare quello di una donna incinta di nove mesi. Il drenaggio allevia il dolore per circa una settimana.
I medici hanno detto più volte a Hassan che l'epatite non si trasmette toccando le persone, ma solo con il contatto tra sangue e sangue. Tuttavia la situazione in casa rimane la stessa. L'uomo si isola dai suoi familiari nonostante il dolore che questo provoca in tutti loro.
Zayed, il cugino di Hamdy che non èpotuto andare in Arabia Saudita, è convinto di aver contratto l'hcv dal dentista, anche se, come la maggior parte delle persone, non ne è sicuro. "Non avevo nessun sintomo prima di fare le analisi del sangue", dice Zayed seduto su un divano tra i suoi due cugini. "E ancora non neho".
Zayed è l'esempio di un altro tipo di persone affette dal virus. Non lo hanno contratto durante la campagna contro la bilharziosi. ma in seguito, dopo che aveva cominciato a diffondersi nella comunità.. Per questi malati è quasi impossibile risalire all'origine del contagio, soprattutto perché possono andare avanti anni senza sapere di avere l'hcv. E dato che molte pratiche legate allavita dei villaggi implicano un possibile contatto di sangue, per i medici è estremamente difficile individuare i fattori di rischio specifici.
Le possibilità sono infinite: i componenti della famiglia hanno usato lo stesso spazzolino da denti? Sono andati dallo stesso barbiere che non sterilizza i suoi strumenti? Si sono passati lago u.za, una pipa ad acqua, quando qualcuno aveva la gengivite? Fanno circoncidere ibambini con il metodo tradizionale? "C'è un enorme numero di persone contagiate, che vivono e invecchiano con l'hcv", dice Mahoney del reparto ricerche mediche della marina degli Stati Uniti. "Magari uno va dal barbiere in una zona dove la gente hal'hcv e si fa un taglietto. Situazioni che sono a basso rischio in un paese a bassa prevalenza qui diventano ad alto rischio".
Ma l'alta probabilità di contrarre il virus non crea molta ansia; né averlo contratto scatena la rabbia o la paura. Zayed si sente bene, perciò – come molti altri che sono risultati positivi al test si lamenta solo del fatto di aver perso un'opportunità di guadagno in Arabia Saudita. La sua rassegnazione non è insolita. Anche quelli che molto probabilmente sono stati contagiati durante la campagna sanitaria del governo sono come lui. "Noi pensiamo che dipenda tutto da Allah", spiega Moawed El Sayeed, il fratello di Hamdy. "Nessuno può farci niente". Le autorità sanitarie dicono che questa convinzione rende il loro lavoro, che è quello di modificare il comportamento della popolazione per diminuire il rischio di contagio, molto più difficile.
Al secondo piano dell'Istituto nazionale per il fegato di Shibin El Kom, che si trova a Minufiya, nel cuore del delta, Dawood Faragiskander, un ometto fragile che dimostra poco più di dinquant'anni, stamorendo lentamente. "Nel 1996, appena fumavo mi faceva male lapancia", dice con un filo di voce. "I dottori hanno scoperto l'epatite solo dopo che ho cominciato a vomitare sangue".
Suo fratello ci mostra la carta d'identità di Faragiskander, dove appare sorridente in cravattino e giacca da sera. Ora è ridotto pelle e ossa. Dal documento risulta che in realtà ha solo 39 anni. "E qui da domenica", dice sua moglie, Arnal Aziz. "Siamo venuti qui perché dicono che è il posto migliore".
Faragiskander è affetto da insufficienza epatica all'ultimo stadio e si è appena risvegliato dal corna. Come molti altri pazienti che sono qui in ospedale, non è solo; lo assistono il fratello e la moglie. "Può fare qualcosa per aiutarlo?" chiede suo fratello Samir, scoraggiato, mentre lui e gli altri cominciano a pian
gere. "Siamo disposti a dare tutto quello che abbiamo. Vogliamo solo che sia curato". La famiglia sa che il trapianto è l'unico modo per salvarlo. Quando è venuto qui Faragiskander era già troppo malato perché i medici potessero curano. Ma quello che la famiglia non sa è che il più grande istituto specializzato del paese non effettua trapianti in questo momento. E lo stesso vale per l'Istituto nazionale per i tumori del Cairo.

COSTI PROIBITIVI
L'opposizione culturale e religiosa all'espianto degli organi impedisce all'Egitto di prelevare fegati dai morti. L'unica alternativa è il trapianto parziale, in cui i medici prendono una parte dell'organo da un donatore sano e la trapiantano nella persona che ne ha bisogno. Ma il costo dell'intervento è proibitivo – centinaia di migliaia di dollari – e mette in pericolo la vita del donatore.
Il trapianto parziale non garantisce che il virus non invaderà il nuovo fegato riproducendo l'insufficienza epatica. Nonostante ciò, i medici di entrambi gli istituti dicono che cominceranno presto a effettuare trapianti parziali. E anche alcuni ospedali privati hanno cominciato a farlo.
Per Faragiskander è troppo tardi. E morto qualche settimana dopo la mia visita. Lascia due figlie, lamoglie, eunafamiglia senza il suo sostegno principale.
In quel periodo sono andato a trovare in ospedale anche Hamdy, che passava continuamente dal sonno alla veglia. Aveva l'aria stanca ma felice e diceva che gli mancava molto sua figlia. Quando gli ho chiesto se era arrabbiato per aver contratto la malattia, non ha risposto ma ha indicato in alto, verso il cielo. Nessuno avevaparlato di risarcimenti, di fare richieste al governo, di protestare con qualcuno. "E il destino", mi ha detto Hamdy. "Adesso dipende da Dio se riusciremo a trovare una cura". Pochi giorni dopo è morto.

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