Da Corriere della Sera del 16/07/2003

E i democratici adesso dicono: «Possibile impeachment»

A Bagdad il Consiglio governativo vota a favore di un tribunale che giudichi Saddam

di Ennio Caretto

WASHINGTON - Non soltanto a Roma ma anche a Washington si susseguono colpi di scena sul giallo dell'uranio del Niger. La prova la fornisce il Washington Post svelando che un secondo emissario dell'Amministrazione Bush, il generale Carlton Fulford, visita il Niger all'inizio del 2002, subito dopo l'ex ambasciatore americano a Bagdad Joseph Wilson, là mandato dalla Cia. E che, al pari di Wilson, smentisce che Saddam Hussein avesse cercato di acquistare l’uranio yellowcake .

Al ritorno Fulford, precisa il quotidiano, fa rapporto al capo di Stato maggiore delle Forze armate Usa il generale Richard Myers che oggi dichiara di non ricordarne il contenuto. «Il problema non esisteva - dice Fulford al Washington Post , precisando che incontrò tra gli altri il presidente nigerino Mamadou Tandja -. Il presidente me lo confermò personalmente, assicurandomi che le miniere di uranio erano sempre state e rimanevano sotto il controllo della Francia».

Le rivelazioni del giornale sono di tale gravità da spingere il senatore democratico Bob Graham, ex capo della Commissione ai servizi segreti, candidato alla presidenza, a rinnovare la richiesta di impeachment o incriminazione di Bush, e l'associazione Veteran Intelligence Professional - gli 007 a riposo - a sollecitare le dimissioni del vice presidente Cheney in una lettera alla Casa Bianca. David Broder, un columnist del Washington Post , scrive che, «se Bush non verrà rieletto, la sconfitta sarà attribuita al giovedì nero del 10 luglio in Africa».

Broder si riferisce allo scorso giovedì, quando i media Usa al seguito del presidente a Pretoria incominciano a parlare di scandalo. Da allora, la posizione di Bush si è fatta sempre più difficile. Ieri un sito Internet democratico ha messo in rete uno spot (preparato per la tv ma non ancora trasmesso) contro «il leader che inganna» ( misleader ), accusando il presidente di avere mentito sulle armi di sterminio dell'Iraq.

In un editoriale, il secondo in tre giorni, il New York Times commenta che «la Casa Bianca difende l'indifendibile con argomenti giuridici che sarebbero ridicoli se la cosa non fosse così seria». La tesi dell'Amministrazione è che il 28 gennaio scorso, quando nel suo messaggio sullo stato dell'Unione accusò Saddam di mirare all'uranio in Africa, Bush si basò su plausibili informative dei servizi segreti e che solo pochi giorni dopo la pista nigerina si rivelò falsa. Ma a quel punto la Casa Bianca era l'unica a crederci: da un anno prima, non ci credeva più la Cia, istruita da Wilson, e tanto meno il Pentagono, avvertito dal generale Fulford. L'ottobre precedente, su loro intervento, Bush aveva inoltre cancellato un accenno all'uranio in un suo discorso in programma a Cincinnati. Fu recuperato tre mesi dopo (in malafede, sostengono i democratici e alcuni media) per giustificare la guerra all'Iraq.

Accomunato alla crisi economica, lo scandalo fa sentire il suo peso: per la prima volta dalle stragi del settembre 2001 l'indice di popolarità di Bush è sotto il 60 per cento (55 per cento, secondo il sondaggio Ipsos e la rivista Newsweek ). Il presidente viene attaccato da sinistra, dal senatore Ted Kennedy, che gli rinfaccia di avere distorto la realtà e di fare pagare un caro prezzo ai soldati in Iraq, e, da destra, dall'ex ispettore americano a Bagdad Scott Ritter, che in un libro, «Giustizia di frontiera: le armi di sterminio e la bushizzazione dell'America», chiede «un cambio di regime a Washington». Una insegnante di San Francisco, Kathy Eder, lancia addirittura le carte da gioco «Piano nascosto» a imitazione di quelle del Pentagono, dove Bush prende il posto di Saddam.

Intanto da Bagdad il Consiglio di governo ad interim si è pronunciato ieri a favore dell’istituzione di un Tribunale sui crimini di guerra che giudichi il raís e i suoi fedelissimi.

All'inizio del 2002, secondo la Abc , furono il vicepresidente Dick Cheney e il suo capo dello staff Lewis Libby (detto Scooter) a incontrare gli analisti della Cia sul caso Niger. È da questi meeting che sarebbe nata la decisione di inviare l’ambasciatore Wilson in Africa.

Avvocato di successo, romanziere per hobby, il 54enne Libby (fedelissimo della famiglia Bush) è stato sottosegretario alla Difesa quando (dal 1989 al 1993) il ministro era proprio Cheney.

Sullo stesso argomento

Articoli in archivio

Casa Bianca
Il vice della Rice chiede scusa «Ho sbagliato sul caso uranio»
«La Cia mi avvisò, ma non ho tolto dal discorso di Bush i passi contestati»
di Ennio Caretto su Corriere della Sera del 23/07/2003
Una giornalista di Panorama : «Non le pubblicammo perché la storia ci parve fasulla»
«Così ho dato agli americani quelle carte sull’uranio»
«Il materiale sul Niger mi era arrivato da una mia fonte estranea al servizio segreto militare»

News in archivio

su Diario del 13/09/2006
 
Cos'� ArchivioStampa?
Una finestra sul mondo della cultura, della politica, dell'economia e della scienza. Ogni giorno, una selezione di articoli comparsi sulla stampa italiana e internazionale. [Leggi]
Rassegna personale
Attualmente non hai selezionato directory degli articoli da incrociare.
Sponsor
Contenuti
Notizie dal mondo
Notizie dal mondo
Community
• Forum
Elenco degli utenti

Sono nuovo... registratemi!
Ho dimenticato la password
• Sono già registrato:
User ID

Password
Network
Newsletter

iscriviti cancella
Suggerisci questo sito

Attenzione
I documenti raccolti in questo sito non rappresentano il parere degli autori che si sono limitatati a raccoglierli come strumento di studio e analisi.
Comune di Roma

Questo progetto imprenditoriale ha ottenuto il sostegno del Comune di Roma nell'ambito delle azioni di sviluppo e recupero delle periferie

by Mondo a Colori Media Network s.r.l. 2006-2024
Valid XHTML 1.0, CSS 2.0