Da La Repubblica del 28/01/2002
Originale su http://www.repubblica.it/online/mondo/aidsdurban/orfani/orfani.html

Seicentomila ragazzini hanno perso i genitori uccisi dall'Aids: così si disgrega la famiglia

Kenya, l'inferno degli orfani i piccoli africani abbandonati

di Pietro Veronese

NAIROBI - Queste sono le storie di Charles, Samuel e Simon, in ordine alfabetico e anche crescente di età (14, 15 e 16). Bambini di strada di Nairobi, Kenya, minuscolo campione di una schiera che conta decine di migliaia di individui e s'accresce ogni giorno. Il loro racconto assomiglia alle favole della nostra infanzia: la perdita della casa, la notte spaventosa, il lume che brilla nel buio, il terrore, la solitudine, la fame.

Ma non è la fiaba che ci rassicura al caldo delle coperte: è vita vissuta da un'intera leva di piccoli africani, una cicatrice esistenziale lasciata dall'Aids che sta decimando la generazione dei padri, dall'economia che declina inarrestabile, dalla perdita del lavoro, dalla scomparsa del villaggio, della famiglia, della comunità. Parla Charles, voce bassa, sguardo sguardo basso, una balbuzie timida: "A casa mia non c'era da mangiare, così incominciai ad andarmene per strada. Avevo 11 anni. Andavo al mercato, cercavo nei secchi: un mango, un cavolo. Me li mangiavo. Mi unii ad altri bambini, eravamo una decina. Vedevo gli altri sniffare la colla e presto mi fecero provare. Mi sentii bene: dai un gran respiro e poi ti senti bene. Vedi il mondo che gira (un altro bambino ha detto: "Senza colla hai freddo, hai fame, pensi troppo"). Poi, quando nella testa l'effetto della colla finisce, vai al mercato a cercare qualcosa da mangiare. Per comprare la colla vendevo ossa. Ossa che trovavo nei rifiuti e che servono per fare mangime oppure sapone. La colla è cara, costa 5 scellini la bottiglietta (8 centesimi di euro). Vai da uno che te la vende, paghi e lui ti riempie la boccetta".

La strada, la fame, la colla, per letto un foglio di cartone e per scaldarsi i corpi degli altri bambini. La storia di Charles è simile a quella di migliaia di altri. Decine di migliaia. Quanti sono in tutto il Kenya nessuno lo sa. Chi dice sessantamila nella sola capitale; chi il doppio o addirittura il triplo. Un gruppo di organizzazioni umanitarie sta tentando un censimento nazionale che non sarà finito prima di marzo. Per accorgersi che sono tanti basta girare il centro di Nairobi, fermarsi a un semaforo rosso e vedere la macchina subito circondata da mani tese. Qualcuno vende cartocci di noccioline sui marciapiedi. Altri, che non avranno dieci anni, portano sulle spalle un piccolo di pochi mesi, un fratellino, e chiedono l'elemosina. A sera, quando gli uffici si svuotano, i passanti scompaiono, le vie si fanno buie e pericolose e i guardiani notturni prendono posizione davanti agli ingressi con le loro grosse mazze di legno, i bambini di strada si accoccolano in un androne, gli uni addosso agli altri, la pancia vuota, le gambe fredde, i piedi nudi. E la colla nella testa: il loro modo di comprarsi un sogno.

Nessuno li ha ancora contati tutti, ma molte cose si sanno con certezza di loro. Per esempio che il loro numero non cessa di crescere. Spiega Charles Otieno, un giovane uomo che ha dedicato la sua vita all'educazione dei bambini di strada: "Il fenomeno, che prima era circoscritto ai grandi centri urbani, è ormai nazionale. Gli street children sono anche nelle cittadine rurali. Aumentano perché i fattori che li producono lavorano a pieno ritmo.

La società africana tradizionale si è disintegrata. Dava sicurezza, perché era la collettività, la comunità, ad assumersi la responsabilità per gli individui. I bambini non era soltanto figli dei loro genitori; erano figli del villaggio. Questo non esiste più: ciascuno è costretto a badare a se stesso. Nessuno può più permettersi di pensare anche agli altri. Tre quarti degli abitanti di Nairobi vivono nelle baracche, e le baraccopoli scoppiano, sono ormai troppo piene. Non c'è casa; non c'è fogne né salute; non c'è lavoro. Non ci sono soldi per il mangiare, la scuola, i vestiti. Se va bene puoi dare ai tuoi figli un pasto al giorno. La famiglia non regge a queste condizioni durissime". Un tempo i padri facevano di tutto per trattenere i figli a casa; adesso sono loro a spingerli sulla strada, dove hanno più possibilità di sopravvivere che tra le pareti domestiche. "E poi c'è l'Aids", continua Charles Otieno. "Lo metto al secondo posto, ma i suoi effetti sono devastanti. Ci sono oggi in Kenya seicentomila orfani dell'Aids. Seicentomila. E il loro numero aumenta molto in fretta.

Orfani diversi da quelli di una volta, perché la malattia non uccide soltanto un genitore. Muore uno, poi l'altro. Poi i parenti. L'infezione dilaga, le contrade vengono decimate, le comunità distrutte. E questi bambini non hanno letteralmente più nessuno". Dieci anni fa, il Kenya ignorava cosa fossero i bambini di strada. Era un fenomeno sudamericano; l'Africa sapeva provvedere ai suoi piccoli. Se non c'era un padre o una madre c'era sempre uno zio, un vicino, un villaggio. A Nairobi c'erano tutt'al più i parking boys, che aiutavano gli automobilisti a trovare un parcheggio in cambio di una mancia. E poi, in pochi anni, in un arco di tempo che avrebbe trovato impreparato anche un governo meno inetto o corrotto di quello kenyano, hanno dilagato e sono presto diventati legione.

Oggi sono una generazione intera, che cresce senza educazione, senza norme, senza amore e annuncia un futuro terrificante. Le storie di Charles, di Samuel, Simon e delle loro migliaia di compagni di sventura si assomigliano tutte ma poi nelle pieghe della narrazione una frase colpisce e si scolpisce. Samuel per esempio racconta della morte del padre, della fuga della madre tornata al villaggio natale in Uganda, di come uno zio si occupò di lui e di due sue sorelle finché si sposò, ebbe a sua volta quattro bambini e scacciò di casa i nipoti. Allora i tre reietti, guidati da Samuel quattordicenne, trovarono ospitalità da un vicino, un "buon samaritano", che faceva il guardiano notturno e lasciava perciò vuoto il suo letto di notte. E per mangiare come facevate? Risposta: "Il mangiare era il solo problema". Il solo problema! Simon invece, quando il padre perse il lavoro di autista, si mise a raccogliere bottiglie di bibite vuote. In una giornata buona ne trovava una ventina, che a 3 scellini l'una faceva un totale di 60 (poco meno di un euro). Però quando tornava a casa la sera il padre lo picchiava, perché si vergognava di mandare quel figlio per strada.

Ma la storia non è tutta qui. A dire intera la verità, Charles, Samuel e Simon non sono più bambini di strada. Sono dei fortunati. Sono degli ex. Come nelle favole, davvero, la loro storia ha avuto un lieto fine. Hanno incontrato qualcuno che si è preso cura di loro. Che dà loro una casa, cibo, vestiti, che gli paga la scuola. Hanno smesso di sniffare, hanno incominciato a studiare. Ricambiano con risultati meravigliosi: primi nella loro classe, primi dell'intera scuola (Samuel e Simon). Vogliono diventare dottori (Charles e Simon) o uomini politici (Samuel). Non dormono più al freddo, non si cibano frugando nei mucchi di rifiuti, non vendono i vuoti delle Fanta e delle CocaCola per comprarsi la colla, non girano più per la città in bande di cinque o dieci, vestiti di stracci e con la mano tesa per l'elemosina ai semafori. Ma i fortunati come loro sono pochi. Molto pochi. Il gran numero è ancora là fuori, nel freddo, nella fame, nel buio dove è impossibile, anche aguzzando gli occhi, intravedere un futuro.

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