Da Il Messaggero del 08/06/2003

Infuria la polemica in America mentre nella città natale di Saddam, Tikrit, continuano gli scontri: ucciso un marine

Iraq, un'altra "pistola fumante" fasulla

Il caso dei laboratori mobili: mancano prove che producessero armi proibite

di Stefano Trincia

NEW YORK - L'ennesima "pistola fumante" scovata dagli americani in Iraq smette di fumare. Si riaccende in America, come in Inghilterra ed ora in Australia, il fuoco delle polemiche sul "casus belli" delle armi di distruzioni di massa di Saddam, finora testardamente assenti all'appello. Mentre continuano a sparare i mitra e le pistole, stavolta più che mai vere, dei fedelissimi del rais contro i militari Usa. Nel tragico stillicidio di violenza seguito alla vittoria angloamericana, ieri nuovo agguato nei pressi di Tikrit - ex roccaforte di Saddam - con un bilancio di un morto e quattro feriti. Reduce dalla sua missione in Medio Oriente, il presidente Bush si è concesso una pausa di riposo a Camp David, ha trascurato la politica estera nel suo discorso radiofonico del sabato, concentrandosi sui temi dell'assistenza sanitaria. Conta ancora sulla benevolenza degli americani che non sembrano prestare particolare attenzione al tema dei presunti arsenali proibiti di Saddam.
La pistola fasulla è stavolta rappresentata, secondo alcuni esperti della intelligence Usa consultati dal New Yprk Times, dai famosi laboratori mobili iracheni utilizzati per la produzione ambulante di armi biologiche e chimiche.
In aprile e maggio ne erano stati scovati due: la Cia e il Pentagono si erano affrettati a definire i misteriosi rimorchi come una possibile prova del programma di armi di distruzione di massa di Saddam. Ed insieme la conferma della veridicità di quanto affermato al riguardo dal segretario di Stato Colin Powell davanti al Consiglio di sicurezza dell'Onu poco prima della guerra.
Gli analisti della intelligence avevano ammesso che nei due laboratori mobili non erano state trovate tracce di sostanze proibite. Ma i due automezzi corrispondevano alla descrizione fattane da un ingegnere chimico iracheno che collabora con gli Usa e soprattutto contenevano apparecchiature difficilmente attribuibili ad altri usi. Gli esperti dei servizi Usa e della Gran Bretagna che hanno parlato al New York Times protetti dall'anonimato, sostengono però che qualcosa non quadra: «Tutti volevano ad ogni costo trovare la pistola fumante e forse hanno voluto raggiungere questa conclusione», ha dichiarato uno di loro che ha potuto ispezionare i rimorchi. «Non credo che si tratti di un congegno per la fermentazione», ha spiegato un analista con grande esperienza di armi non convenzionali, riferendosi ad un serbatoio che sarebbe stato utilizzato per la trasformazione di germi in pillole letali. Il rapporto del governo Usa, ha aggiunto, «è un lavoro affrettato e dettato mi pare da pressioni politiche».
Gli esperti dissidenti hanno fatto inoltre notare che nelle rarità rinvenute manca il dispositivo per la sterilizzazione del vapore, fondamentale per qualsiasi produzione biologica, sia pacifica che bellica. E anche se la sua mancanza fosse stata in qualche modo aggirata, ciascuna unità sarebbe stata in grado di produrre solo una quantità minima di liquido tossico. «Chi non la pensa come noi ha tutto il diritto di farlo - ha ribattuto il portavoce della Cia Bill Harlow - noi continuiamo a credere che si trattasse di un programma proibito».
Il problema è che, come scrive il Washington Post, dubbi sulla reale consistenza dell'arsenale biochimico iracheno erano emersi ben prima della guerra. La stessa intelligente del Pentagono in un rapporto top secret ora venuto alla luce aveva sottolineato l'assenza di prove certe al riguardo. Ma l'amministrazione, ansiosa di procedere alla resa dei conti con Saddam, lo avrebbe accantonato. La polemica sulle armi è nel frattempo arrivata in Australia, alleata degli angloamericani nella guerra: il premier Howard ha dichiarato di non aver falsificato i dati sulle armi di Saddam ma di essersi fidato dei servizi americani e britannici.

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