Da Corriere della Sera del 03/06/2003

Il presidente in Egitto per la missione più dura

di Ennio Caretto

SHARM EL SHEIK - Nel nome della pace tra gli israeliani e i palestinesi, il presidente americano Bush comprime il G8 in 26 ore - salutato dai «più sinceri auguri» di Chirac - e affronta oggi la missione più difficile della sua presidenza: convincere i Paesi arabi «rilevanti» ad appoggiare al cento per cento la «Road map» e a rafforzare il premier palestinese Abu Mazen contro Arafat, per arrivare domani a un comunicato congiunto con reciproche concessioni tra Abu Mazen e il premier israeliano Sharon (primo passo della «Road map» tracciata da Usa, Ue, Onu e Russia).

Con due vertici in due giorni, Bush si propone di rilanciare il dialogo tra i due popoli, dopo 32 mesi di sangue. «Credo che faremo progressi - dice a Evian -. So che ne stiamo facendo». Dopo la guerra dell’Iraq, è questa la seconda parte del suo piano di cambiamento degli equilibri della regione. Al suo esordio in Medio Oriente, Bush sogna di riuscire là dove il predecessore Clinton fallì, tre anni fa.

Sul piano dell’immagine, la foto del suo colloquio con Abu Mazen - colloquio sempre negato ad Arafat - dominerà l'odierno summit, come la foto della stretta di mano a tre con Sharon dominerà quello di domani ad Aqaba in Giordania. Ma al presidente, giunto ieri notte nella località egiziana di Sharm el Sheik, sul Mar Rosso, ciò non basta. Serve una svolta. «Sono pienamente consapevole che il processo di pace sarà duro - ha detto ancora a Chirac a Evian -. Ma inviterò entrambi ad affrontare le rispettive responsabilità, per realizzare la visione di due Stati in pacifica convivenza». Dipartimento di Stato e Casa Bianca hanno preparato tutto: i loro due emissari, William Burns ed Elliot Abrams, hanno persino presentato ad Abu Mazen e Sharon una bozza del comunicato congiunto su cui lavorare. Non è certo che i due premier la adottino, ma è certo che Bush non tornerà a Washington a mani vuote.

Il vertice di Sharm el Sheik con il presidente egiziano Mubarak, il principe saudita Abdullah, il monarca giordano Abdallah II, quello marocchino Mohammed VI e quello del Bahrein Hamad, più Abu Mazen, è propedeutico al vertice di Aqaba. Bush lo ha voluto anche per esortare il mondo arabo a staccarsi definitivamente da Arafat: «Il messaggio che deve pervenire ad Arafat - ha dichiarato giovedì al Corriere il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa Condoleezza Rice - è che non ostacoli più il cammino della pace».

La svolta dovrebbe avvenire ad Aqaba: Bush si aspetta che Abu Mazen si impegni alla sospensione della lotta armata e degli incitamenti alla violenza e riconosca il diritto alla esistenza dello Stato di Israele. E che in cambio Sharon sia pronto a terminare l'occupazione dei territori palestinesi e a smantellare parte degli insediamenti. Ieri Israele ha rilasciato Taysir Khaled, uno dei leader del Fronte democratico per la liberazione della Palestina, e altri cento prigionieri palestinesi dovrebbero essere liberati entro domani.

A Evian Bush promette di «dedicare tutto il tempo necessario per raggiungere l’obiettivo». Ma sia Abu Mazen sia Sharon hanno delle riserve sul comunicato: il primo preferirebbe non usare la formula «Stato di Israele», perché potrebbe precludere il rimpatrio dei profughi palestinesi; il secondo vorrebbe evitare il termine «occupazione» dei territori.

Secondo la Rice, «nei prossimi mesi, assisteremo a una intensa attività diplomatica». «Gli Stati Uniti - aggiunge - saranno in grado di valutare eventuali progressi tramite una continua presenza», con ogni probabilità un rappresentante personale di Bush, che rimarrà in Medio Oriente fino alla completa applicazione della «Road map» nel 2005.

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