Da Corriere della Sera del 22/05/2003

Vent'anni di Aids

Così l’Italia ha esorcizzato la peste del millennio

di Filippo Ceccarelli

VENT’ANNI di Aids: e come sovente accade in Italia, l’anniversario si involtola su se stesso, e si fa caotico, informe e scivoloso. Proprio l’altro giorno un’agenzia annunciava che a Pescara, in vista delle elezioni, alcune militanti di Forza Italia s’erano messe a distribuire preservativi sotto a uno striscione che diceva: «No ai-ds. Difenditi». Tutto (occasione, oggetto distribuito, gioco di parole, slogan drammatizzante) diceva che l’Aids era definitivamente entrata, sia pure a suo modo, nel discorso civile - o incivile che sia - insomma e comunque nella politica. Vero è anche che l’odierna politica è quella che è. Quando la sciagura dell’Hiv si manifestò c’era alla Sanità un vecchio democristiano, Carlo Donat Cattin, e tra i meno curiali o bacchettoni. Ebbene, vista con gli occhi di oggi, la battaglia ingaggiata da Donat Cattin contro il profilattico, i suoi sforzi anche disperati (con lettere recapitate a tutte le famiglie) a favore dell’astensione e della castità, ecco, tutto questo sembra oggi perfino rispettabile. L’Aids metteva a nudo, in Italia, due concezioni del mondo e della vita che si scontravano, ma con una loro nobiltà ideale. Non è questione di nostalgia. Il vecchio ministro cattolico era anche patetico quando disquisiva, tecnicamente, sui profilattici che «sbordavano», oltretutto. Cacciava dalle commissioni l’iper-immunologo professor Aiuti: «Non è mica Napoleone», spiegava. E quello replicava, davanti ai fotografi, con un lungo bacio a una ragazza sieropositiva. Il progresso e la soluzione stavano certamente dalla sua parte. Così come fu quasi più ridicolo che retrogrado, nei primi Anni ‘90, il no opposto dalle ministre (Jervolino e Garavaglia) alla diffusione nelle scuole di un opuscolo anti-Aids che raffigurava il fumetto di Lupo Alberto. Eppure, sia pure a suo modo, la classe dirigente cattolica non ha impedito che tutti insieme, dopo le dovute guerre ideologiche e di religione, ci si rimboccasse le maniche. E infatti sono anche stati vent’anni di indagini conoscitive, commissioni intergovernative, piani regionali, benemerito attivismo gay, leggi di grande civiltà (no ai malati in carcere), leggine, giornate mondiali, audizioni, trasmissioni, non stop, concerti, serate di solidarietà, canzoni, sceneggiati, galà, memorial e aste benefiche. Il professor Aiuti si è poi candidato con An, mentre un altro medico impegnato su quello stesso terreno, il presidente della Lila Vittorio Agnoletto è oggi uno dei capi del movimento no-global. Ma il punto vero è che senza accorgersene tutto il contesto è vertiginosamente venuto a mancare. La società italiana ha combattuto a suo modo l’Aids: mettendola in comune, lacerandosi, quindi esorcizzandola, in qualche modo anche carnevalizzandola. «Mica ci abbiamo l’Aids, noi», protestava alla fine degli Anni ‘80 il leader socialdemocratico Cariglia quando temeva di essere tagliato fuori dalla spartizione degli enti. Ancora un salto di dieci anni e Berlusconi, sulla nave «Azzurra», raccontava ai giornalisti addirittura la barzelletta in tema. Un malato di Aids va dal medico e gli chiede: «Dottore, cosa posso fare per la mia malattia?». Quello risponde: «Faccia delle sabbiature». «Ma dottore, mi faranno veramente bene?». E il medico: «Bene no, ma sicuramente si abituerà a stare sotto terra». Però poi fu la moglie, Veronica Lario, ad arrabbiarsi con il Cavaliere. Questa è (anche) l’Italia. Perché l’Aids è stata un evento così terribile che per alcuni il dolore, spesso rinforzato dall’ingiustizia e dall’assenza di un tessuto civile, è ancora troppo forte per essere compiutamente espresso. Ma l’impressione è che qualche progresso s’è pur fatto. Qualche. L’Aids è stato e per certi versi ha funzionato come un grande rito collettivo. Uno degli ultimi a unificare una società non solo a vocazione sbrindellata, ma che proprio in questi vent’anni andava profondissimamente trasformandosi. Nuovi usi linguistici: «A rischio», «conclamato». Nuove espressioni enfatiche: «La peste del 2000». Nuove icone: quel letto di morte con parenti che Oliviero Toscani utilizzò come pubblicità shock per la Benetton. Nuove figure: Gabriele Paolini, «il profeta del condom», distributore inesauribile, finito nel Guinness dei primati con le sue 18.765 apparizione di contrabbando in tv. Nuovi incubi: la siringa sulla sabbia o ai giardinetti, prima che venissero messe in vendita le «monouso». Nuovi dilemmi ansiogeni: il test. Me lo faccio o no? Dopo la morte del suo partner John Holmes, l’onorevole Cicciolina annunciò con un comunicato di aver proceduto e: «Sono sana come un pesciolino». Nuovi slogan per nuove campagne: «Se lo conosci lo eviti». Campagne comunque costose e su cui ancora oggi pesa il sospetto, o forse la certezza di un’avvenuta corruzione. Se non suonasse un po’ cinico si potrebbe dire che l’Aids ha accompagnato e assecondato, nel bene e nel male, la modernizzazione del paese. Una modernizzazione contraddittoria, duplicata e a rilento. Ancora oggi l’”Osservatore romano” pone, tra le proposte educative in fatto di prevenzione all’Aids, di «evitare i comportamenti a rischio». E ancora oggi, contro ogni possibile discriminazione, Maurizio Costanzo bacia una ragazza sieropositiva. Ma vent’anni in fondo sono tanti e sono niente. A riguardarli a ritroso, con l’aiuto della banca dati dell’Ansa, si resta come imbambolati davanti alla messe di notizie che in gran confusione segna una stagione che non è finita, ma certo appare nel tempo irriconoscibile. «Medicina, Aids, don Gelmini racconta la sua storia di cavia»; «Morto di Aids a Rimini ex gorilla di Madonna»; «Aids in tv, Zucchero dice: “Masturbatevi”, proteste cattoliche»; «Lotta all’Aids, in vendita preziosi sandali di Ferragamo»; «Affetta da Aids si prostituiva a Ravenna e in molte città». «Sanremo, Nino D’Angelo indosserà una spilla lotta all’Aids». «Aids atteso un nuovo vaccino». Tutto, insomma, e il contrario di tutto. Come succede sempre in Italia. E come non ci si riesce mai ad abituare.

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