Da Il Manifesto del 21/05/2003

Se il corpo diventa una password

Fra scienza, tecnologia e politica un'idea di libertà a rischio sulle due sponde dell'Atlantico

di Ida Dominijanni

In principio c'è sempre la democrazia, e il problema di che cosa si intende per democrazia. Ed è un problema sempre più controverso, se può accadere che il progetto «Tia» del Pentagono per la raccolta di informazioni e dati personali di tutti i cittadini del pianeta (americani esclusi) vada in discussione al Congresso Usa mentre il Garante italiano della privacy, nonché presidente dei Garanti europei, lancia l'allarme contro queste tentazioni del controllo e della sorveglianza totale che vengono dall'altra sponda dell'Atlantico. Non che le due sponde si possano dividere con un taglio netto, come lo stesso Rodotà sottolinea nella sua relazione: accade in Italia che la provincia di Bolzano istituisca una indebita banca dati in materia sanitaria, e di converso accade negli Stati uniti che istituzioni e singoli esperti tentino di correggere le tentazioni panottiche dell'amministrazione Bush guardando alle garanzie europee in materia di tutela della privacy. Il conflitto dunque, come si dice, è trasversale. Ma è un conflitto duro e dagli esiti tutt'altro che scontati, anche perché a giocarlo sono in tre, scienza, tecnologia e volontà di potenza dei governi, contro uno, la cultura giuridica che milita per i diritti fondamentali e per una cittadinanza universale all'altezza di un'era in cui il corpo diventa corpo elettronico, la trasparenza si rovescia in esposizione pubblica e perfino la comunicazione viene colonizzata dal mercato lungo le autostarde di Internet. Ma prim'ancora, attorno a tutto questo, c'è una cornice squisitamente politica, che attiene alla costituzione intima delle democrazie contemporanee. Nelle quali si verifica, fra gli altri, il seguente paradosso: mentre gli spazi pubblici si allargano, le vite si privatizzano. Perché gli spazi pubblici, che siano tradizionali - strade, piazze, stazioni, aeroporti - o tecnologici - telefoni, e-mail, Internet - sono sempre più sottoposti all'occhio di una sorveglianza politica - telecamere, tecniche di riconoscimento, data mining - che non riguarda solo il corpo selvaggio dei devianti, ma la cittadinanza tutt'intera; la quale perciò finisce col rifuggire da quegli spazi per rintanarsi in casa. Dunque, o la privacy la si sa difendere come un'idea di libertà nei luoghi della vita associata, o la si confinerà sempre più fra le mura domestiche come un'idea di autodifesa. E dove comincia se non qui la fine della democrazia?

Dentro questa allarmante cornice, il quadro non meno allarmante è quello di società ormai interamente dominate dalla biopolitica, più che dalla politica classicamente intesa. Il Garante italiano ha ben presente il punto, ed è questo che rende le sue annuali relazioni al parlamento uno dei rari momenti avanzati di analisi del teatro politico nostrano: perché la tutela della privacy non è più solo tutela della riservatezza, è tutela da un potere tecnopolitico che aggredisce e si annette la vita in tutti i suoi aspetti, senza che nessuno ne resti «naturalmente» esente. Viviamo, dice Rodotà, in un mondo in cui «la vita è diventata uno scambio continuo di informazioni, una rappresentazione sociale che dà pubblica e continua evidenza al corpo e alle sue immagini, alle opinioni e alle preferenze, ai narcisismi e al pudore». E in cui la stessa realtà del corpo è cambiata, perché corpo biologico e corpo tecnologico si intrecciano in ciascuno di noi ogni volta che c'è di mezzo una terapia medica, una pratica di ricerca genetica, un dispositivo di classificazione e controllo delle nostre caratteristiche individuali. «Il corpo sta diventando una password», impronte digitali, iride, Dna e consimili «dati biometrici» riempiono banche di dati consultabili per classificare, sorvegliare, punire, disciplinare. Basta un chip sottopelle e il controllo sui movimenti di ciascuno è assicurato: «La sorveglianza sociale si affida a una sorta di guinzaglio elettronico, il corpo umano viene assimilato a un qualsiasi oggetto in movimento, controllabile a distanza con una tecnologia satellitare». E che fine fa la democrazia, se è fatta di cittadini al guinzaglio?

Il fatto è che da queste tendenze del biopotere e della tecnopolitica indietro non si torna. Ma a queste tendenze non si possono sacrificare democrazia, libertà, uguaglianza. Non si può sacrificare la riservatezza dei dati personali sull'altare della sicurezza, neanche sotto l'incubo del terrorismo. Non si può consentire che un accertamento di paternità passi per il furto di dati genetici. Non si può consentire che lo screening di dati genetici serva per discriminare le persone nell'accesso al lavoro. Non si può consentire che i nostri indirizzi di posta elettronica siano continuamente violentati dalle imprese che ci bombardano di messaggi pubblicitari non richiesti. E via dicendo. Viceversa, le tendenze della bio-e della tecnopolitica vanno piegate al mantenimento e all'estensione dei diritti fondamentali. La prospettiva è quella di una cittadinanza sovrastatuale che contempli il pieno controllo di ciascuno sul proprio «corpo elettronico», ovvero sui dati che riducono l'identità individuale a un fascio di informazioni disponibili per il potere. Senza, a decidere di questi dati, cioè di noi stessi, saranno solo i governi e il mercato.

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