Da Corriere della Sera del 20/05/2003

E l’America comincia a temere le «gaffe» di Snow il comunicativo

di Ennio Caretto

WASHINGTON - I suoi critici, tra cui Steve Henke, il monetarista del presidente Reagan, lo chiamano «il Padrino dell'euro» perché, dicono, è il vero responsabile del calo del dollaro e del conseguente apprezzamento della moneta europea. Ma non credono che John Snow, il nuovo segretario al Tesoro americano, sia del tutto un gaffeur come il predecessore Paul O' Neill, a cui è subentrato da tre mesi. O' Neill metteva periodicamente il dollaro nei guai con dichiarazioni incaute, poi corrette o ritrattate. Snow, al contrario, sembra avere una precisa strategia e quando parla pesa le parole. «Il ministro - dice Henke - mira a un deprezzamento graduale e contenuto del dollaro e quindi a un apprezzamento dell'euro. Finora li ha ottenuti. Ma è una strategia rischiosa». Che lo sia lo ha dimostrato la Borsa. Snow sabato ha definito «abbastanza modeste» le oscillazioni dei cambi, ieri Wall Street ha subito una caduta.
L'ultima e più importante esternazione di Snow ha avuto luogo a Deauville alla riunione dei ministri finanziari del G8 lo scorso week end. Alla domanda che cosa s'intenda per dollaro forte, Snow ha risposto: «Un dollaro in cui abbia fiducia il pubblico. Una moneta che serva da buon mezzo di scambio e di cui si sappia che ha un buon valore. Vogliamo che la gente desideri conservare i dollari. E vogliamo che siano difficili da contraffare, come il nostro taglio da 20». Quando i giornalisti hanno ribattuto che il dollaro è forte non se risponde a questi requisiti, ma se è a un alto livello, Snow ha insistito: «Sto attento a ciò che dico. Le qualità del dollaro sono quelle che ho enumerato». E' toccato al suo portavoce Rob Nichols ripetere la formula sacramentale: «La politica americana nei confronti del dollaro non è cambiata».
Nonostante la precisazione di Nichols, a Henke, ad altri economisti e al «Wall Street Journal» le spiegazioni di Snow sono parse segnalare una grossa svolta. Nel '95, l'ultima volta che il dollaro calò, l'allora ministro del Tesoro, Bob Rubin, proclamò immediatamente che «un dollaro forte è nell’interesse degli Stati Uniti». Da quell'istante, la difesa del dollaro nei momenti di crisi divenne un assioma, che in genere persino O' Neill rispettò, sia pure tra una gaffe e l'altra. Snow, ha scritto ieri il Wall Street Journal , «ha abbandonato questa linea». Il ministro, ex presidente di una grande società ferroviaria, un pragmatista, lo ha fatto per due ragioni: per rilanciare le esportazioni americane e favorire la ripresa economica, e ridurre il deficit della bilancia commerciale; e per aumentare i prezzi dell'import, in modo da prevenire la deflazione, il nuovo spauracchio dell'amministrazione e della Federal Reserve.
«Uno dei motivi per cui Bush volle Snow alla tesoreria - ricorda Henke - è che è un uomo d'affari molto solido e un leader comunicativo. L'atteggiamento del ministro verso il dollaro è evidentemente avallato dalla Casa Bianca». Ma per il monetarista è un errore. Se il declino del dollaro fosse troppo rapido o disordinato, avverte, si potrebbe verificare una fuga di capitali, soprattutto stranieri, dai titoli azionari e obbligazionari Usa, capitali essenziali per finanziare gli enormi deficit, commerciale e di bilancio. Esiste un precedente: nell’ottobre dell'87, con il dollaro in calo, il ministro del Tesoro di Reagan, James Baker, disse alla tv che non lo avrebbe difeso. Era una domenica: il giorno successivo - che passò alla storia come il lunedì nero - la Borsa crollò di oltre il 17%, il massimo in una seduta dal crack del '29. Nessuno pensa che la situazione sia incerta come allora, conclude Henke, e che Wall Street crolli di nuovo. Ma la svalutazione del dollaro, quasi il 30% sull’euro dall’ottobre del Duemila, va fermata: la Banca Centrale Europea potrebbe contribuire tagliando i tassi.

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