Da Il Sole 24 Ore del 15/05/2003

Bagarre sulle istituzioni europee

di Adriana Cerretelli

BRUXELLES - Ormai ci sono soltanto quattro settimane per riuscire. O fallire. Oggi e domani a Bruxelles i 105 membri della Convenzione europea sulle riforme entreranno finalmente nel vivo del dibattito nella speranza di sciogliere il nodo più scottante e controverso della partita. Che si chiama questione istituzionale. E che in concreto significa trovare il giusto equilibrio tra i 25 Stati nazionali della nuova Europa allargata e le istituzioni comuni, mentre si scatena la lotta anche sui poteri dell'Eurogruppo, per il quale i 12 ministri delle Finanze chiedono semplicemente «un esplicito riconoscimento in un protocollo annesso alla Costituzione» con la Commissione che vorrebbe un ruolo formale. Per il momento l'aggregazione di un consenso minimo per le principali questioni non solo non pare dietro l'angolo, ma c'è già chi giura che alla fine Valéry Giscard d'Estaing, il presidente della Convenzione, dovrà arrendersi all'evidenza: rinunciare a presentare il 20 giugno, al vertice Ue di Salonicco, un vero progetto di Costituzione europea, 350 articoli suddivisi in 4 sezioni precedute da un preambolo, ripiegando su una proposta articolata in diverse opzioni. Pessimismo eccessivo? Forse. Fatto sta che lo schema istituzionale avanzato da Giscard a fine aprile - un presidente del Consiglio full-time in carica per due anni e mezzo, un ministro degli Esteri europeo responsabile di diplomazia e sicurezza comuni, una Commissione in formato più ridotto dell'attuale - ha scatenato una vera e propria alluvione di emendamenti: 1531 dei quali 681 sulle istituzioni e 850 sull'azione esterna dell'Unione. Se ne discuterà oggi e domani con Giscard che negli ultimi giorni ha provato a domare la rivolta contro la propria linea. Invano. «Mantenere l'attuale sistema di rotazione semestrale della presidenza nell'Unione a 25 - ha avvertito - significa che nei prossimi dieci anni l'Europa sarà rappresentata da 20 presidenti, tutti diversi tra loro». L'argomento trova il consenso dei sei maggiori soci del club (Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna, Spagna e Polonia) ma è assolutamente indigesto ai Paesi medio-piccoli (che sono la schiacciante maggioranza anche se rappresentano solo il 30% della popolazione Ue), al grosso del Parlamento europeo e alla Commissione. Motivo? L'intero "fronte del rifiuto" teme di vedersi di fatto confiscati da una presidenza forte i propri poteri. La Commissione di Romano Prodi vede il rischio di una duplicazione a proprio danno della funzione esecutiva, in breve di trasformarsi nel segretariato della nuova presidenza. I Paesi medio-piccoli, che non a caso rivendicano invece una Commissione forte in quanto organo che incarna l'interesse generale, temono a loro volta di subire il direttorio dei Grandi perdendo lo status di eguali. Mentre i Grandi paventano la dittatura delle maggioranze. «Vogliamo un'Unione efficiente, ma che non faccia distinzioni tra i suoi membri» ha dichiarato ieri il premier greco Costas Simitis, attuale presidente di turno, ricordando che «l'Unione è un'unione di Stati-nazione e non un'unione dove è decisivo il peso demografico dei singoli Paesi». Per uscire dalla logica degli estremismi contrapposti, Giscard ha invitato Prodi a dibattere l'argomento in una grande città europea nella speranza che il "duello" riesca a sensibilizzare l'opinione pubblica europea, inducendola ad arbitrare una contesa al momento bloccata. Prodi ha accettato proponendo Bruxelles. Giscard ha rilanciato ieri su Stoccarda. Si vedrà. Di esplosivo comunque non c'è solo il futuro assetto della presidenza europea. C'è quello collegato della Commissione Ue, che i Grandi vorrebbero ridotta a 15 membri per renderla più snella ed efficiente, mentre tutti gli altri (non il Benelux, ma solo a certe condizioni) non vogliono rinunciare ad avervi un proprio rappresentante. Anche sulla difesa e sul futuro ministro degli Esteri nel dopo-Irak è la Babele delle lingue e delle aspirazioni. Gli inglesi sono per la creazione di un ministro degli Esteri europeo a patto però che sia espressione esclusiva dei Governi, non in "condominio" con la Commissione. La maggioranza invece è favorevole a crearlo con il doppio cappello, del Consiglio e della Commissione. Il che non favorirebbe la trasparenza del suo ruolo e dei suoi compiti. Sui quali peraltro per ora non c'è intesa. Insomma si direbbe che ci sia proprio bisogno del «pellegrinaggio per l'Europa unita» indetto qualche giorno fa dalla Commissione episcopale europea per il giugno 2004 a Santiago de Compostela. Querelle religiosa permettendo in seno alla Convenzione.

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