Da La Stampa del 18/04/2003

Effetto-Iraq, il Nord Corea pronto al dialogo

La settimana prossima colloqui sul disarmo con Washington e Pechino

di Francesco Sisci

SEUL - La tensione in Nord Corea sembra finalmente sciolta. Washington ha annunciato che, la settimana prossima, manderà delegati a Pechino per partecipare a colloqui con il Nord Corea. La Cina parteciperà pienamente agli incontri, non si limiterà a ospitarli. Già nel fine settimana erano arrivati i primi segnali distensivi, il Nord Corea aveva smesso di insistere su negoziati bilaterali e ha accettato la possibilità di colloqui multilaterali, come vogliono gli Stati uniti. Nel frattempo, da quando l’America ha lanciato il suo attacco contro l’Iraq, Pyongyang aveva smesso le sue provocazioni e aveva cessato la sua retorica bellica. Sembra tutto risolto, eppure potrebbe non essere abbastanza perché nel frattempo si sono avviati in Asia orientale dei meccanismi che potrebbero radicalmente cambiare molti equilibri e, se lasciati crescere incontrollati, creare una tensione nell’area di molto superiore a quella del Medio Oriente. Alla conferenza annuale della commissione Trilaterale tenutasi per la prima volta a Seul nel fine settimana, infatti, alti rappresentanti del parlamento giapponese hanno dichiarato che Tokyo ha diritto a usare «ogni mezzo disponibile» per fermare la minaccia che viene dal Nord Corea. Alla Trilaterale si è presentato un quadro secondo cui in Giappone ci sono forze sempre più numerose che vogliono il riarmo del Paese. Tali voci sono diventate sempre più alte dopo la guerra americana in Iraq. La guerra dimostra ai giapponesi che le priorità americane possono essere diverse da quelle giapponesi. In questo periodo era urgente per Tokyo la soluzione del problema nordcoreano, ma gli Usa invece guardavano all’Iraq. L’America rimane sempre il grande ombrello per la sicurezza di Tokyo, sottolineano i giapponesi, ma Tokyo pensa sempre di più di dotarsi di un suo sistema di sicurezza autonomo rispetto a quello americano. Questa ottica di riarmo giapponese apre la porta a un ridisegno complessivo degli equilibri asiatici che non porta a una semplice corsa agli armamenti a livello regionale. Infatti, gli stessi che in Giappone lavorano per aumentare l’apparato militare nazionale si adoperano anche per migliorare i contatti con la Cina. In questi mesi tra l’altro, per stessa ammissione dei giapponesi, si sono moltiplicati gli sforzi diplomatici dei cinesi per costruire ponti, rinnovare legami con Tokyo. E Pechino poi proprio per dimostrare la propria buona volontà a Washington e Tokyo in questi mesi ha lavorato tenacemente dietro le quinte per far ragionare Pyongyang. Pare che Kim Jong-il sia stato convocato a Pechino e che una decina di giorni fa, «per errore», siano state sospese le forniture di olio pesante cinese al Nord Corea. È stato questo lavorio intenso che ha portato Pyongyang a fare marcia indietro sulla richiesta di incontri bilaterali, e ha fatto arrivare ai colloqui a tre della settimana prossima. Questo successo diplomatico cinese dovrebbe costituire la maggiore pietra di scambio nei rapporti tra Pechino e Tokyo per fermare il processo di riarmo giapponese, ma potrebbe non bastare, perché se da un lato la minaccia nordcoreana appare oggi imbrigliata, non è nemmeno possibile escludere suoi improvvisi colpi di coda. D’altro canto il rapporto a tre tra Cina, Giappone e Stati Uniti è estremamente complicato. Il riavvicinamento di un qualunque lato di questo triangolo provoca tensione nei lati esclusi, e il riavvicinamento contemporaneo di tutti i lati non è facile né da praticare né da gestire. In qualche modo, allora, il processo di pace in Nord Corea sta diventando il banco di prova per la definizione di nuovi equilibri nell’Asia orientale. In questi equilibri la novità più importante potrebbe essere costituita da un significativo riavvicinamento dei rapporti tra Stati Uniti e Cina che di fatto mutano i legami esistenti tra Usa e Giappone. Nella conferenza della Trilaterale uno dei massimi esperti americani sulla Corea ha dichiarato che sarebbe nell’interesse americano un rapporto di partnership strategica con la Cina. Tale rapporto darebbe agli Usa una proiezione in tutta l’Asia fino al Sud del continente, nelle zone critiche della Birmania settentrionale e del Kashmir e quelle più a Nord dell’Afghanistan e dell’Asia centrale. Ciò del resto avveniva ai tempi del grande abbraccio geopolitico tra Usa e Cina degli Anni 70 e 80, cose oggi impossibili con un rapporto esclusivo dell’America con il Giappone. Ma oggi come allora questo deve coincidere con un riavvicinamento del Giappone alla Cina e con uno sforzo cinese di eliminare il senso di isolamento del Giappone e integrare l’arcipelago nella crescita economica dell’Asia orientale, che oggi è trainata dalla Cina. Si tratta di uno sforzo delicato, che rischia di andare fuori strada a ogni passo vista la profonda inaffidabilità del Nord Corea. E a quel punto la tensione e i problemi che oggi agitano il Medio Oriente potrebbero impallidire davanti a quelli dell’Asia orientale facendo magari anche brillare come una mina l’intera regione.

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