Da Corriere della Sera del 24/04/2003

Chirac, tra principi da difendere e affari da non perdere

Le grandi imprese temono di essere escluse dagli accordi economici

di Massimo Nava

PARIGI - Prima della guerra, si scommetteva sul coraggio della Francia di andare fino in fondo. Adesso si scommette sull’ormai fragile confine fra orgoglio e autocritica. E’ bastata una telefonata fra Bush e Chirac, la prima dopo diverse settimane, «gelida» al punto che l’Eliseo avrebbe preferito che non fosse resa pubblica, ad aprire le ipotesi sull’imminente riavvicinamento, per riguardo ai vincoli di alleanza e con un occhio pragmatico al business della ricostruzione irachena.
Le «inevitabili conseguenze» preannunciate dal segretario di Stato Usa, Colin Powell, hanno invece avuto l’effetto di rafforzare Parigi nelle proprie convinzioni e di rendere più lontano il ripensamento della strategia dell’Eliseo, in parte reso visibile con la proposta di sospensione delle misure di embargo all’Iraq. Un ripensamento peraltro sollecitato da diversi commentatori e, dietro le quinte, da settori della maggioranza politica e da ambienti economici, preoccupati da un altro tipo di conseguenze: quelle già innescate in queste settimane dal deterioramento delle relazioni commerciali e dal boicottaggio dei prodotti francesi. La replica a Powell ha il tono che oggi più piace al presidente Jacques Chirac, quello dei principi e delle cause universali, di cui è interprete e ispiratore il suo ministro degli Esteri, Dominique de Villepin.
«La Francia - ha detto de Villepin - ha difeso la legalità internazionale e continuerà a farlo». Il ministro ha ricordato che la Francia ha agito in conformità a suoi principi e convinzioni e insieme alla maggioranza della comunità internazionale, quasi a voler ricordare che sono gli Stati Uniti ad aver agito da soli e contro la legalità. Ufficialmente, si tende però a raffreddare la tensione e a mantenere aperta la comunicazione proprio fra i due uomini - Powell e de Villepin - che più hanno dialogato nei giorni della crisi. «Quelle minacce non corrispondono alla realtà dei nostri rapporti attuali con gli Stati Uniti», ha dichiarato Jean-François Copé, portavoce del governo Raffarin.
De Villepin parlava ad Ankara, tappa di un viaggio che lo porterà in Giordania e in Iran dopo la visita della scorsa settimana a Damasco. Un tour del mondo musulmano che può essere letto come il tentativo di rafforzare - in competizione con Washington - legami politici e intese anche economiche nel momento in cui la Francia - creditrice dell’Iraq per tre miliardi di euro - rischia di essere fra i grandi esclusi dalla «torta» della ricostruzione e del petrolio iracheno.
Ipotesi temuta, già prima della guerra, da grandi imprese transalpine come la Total, e rafforzata dall’atteggiamento vendicativo di Washington che rinfaccia a Parigi doveri di alleanza e di lealtà.
Fra principi difesi e doveri invocati, fra telefonate distensive e dichiarazioni infuocate, ci sono di mezzo affari colossali. L’ombrello delle Nazioni Unite garantirebbe una spartizione più equa e impedirebbe alle imprese americane, come sta già avvenendo oggi, di far man bassa di appalti e contratti. Da parte americana, viene ricordata la gestione poco trasparente del programma dell’Onu «oil for food» che, come scrive l’ Herald Tribune , ha favorito contrabbandi, affari del clan di Saddam Hussein e flussi finanziari nelle banche svizzere, asiatiche e francesi.
Polemiche a parte, la crisi irachena è diventata per la Francia e per il suo presidente un test cruciale della propria politica estera, verso gli Stati Uniti e, di conseguenza, in Europa e in Medio Oriente. Quasi un punto di non ritorno, se in Jacques Chirac dovessero prevalere l’ambizione di rappresentare (e magari guidare) un disegno alternativo all’iperpotenza americana. A un anno dalla trionfale elezione, il «Residente» dell’Eliseo, secondo una deliziosa battuta sulla longevità del suo potere, ha anche trovato il modo di evitare, grazie alla sfida con l’America, di fare i conti con i problemi interni e con la sfida dell’opposizione.
Sulla diagnosi della crisi irachena e sulla giustezza della causa abbracciata, il «Residente» non trova molti critici in patria. Altra cosa è però misurarsi sui risultati raggiunti e sui rapporti di forza imposti dagli Stati Uniti. Quindi sulle ambizioni rispetto al peso specifico del Paese che anche i francesi cominciano a ricordare a se stessi.

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