Da La Stampa del 22/04/2003

Domani il nuovo esecutivo palestinese atteso in parlamento

Rischia di nascere morto il governo di Abu Mazen

Contrasti tra il futuro premier e Arafat sulle nomine potrebbero portare a un nulla di fatto, nonostante le pressioni internazionali

di Aldo Baquis

TEL AVIV - Tiene col fiato sospeso le diplomazie internazionali una crisi politica maturata fra il presidente Yasser Arafat e il premier designato Abu Mazen (Mahmud Abbas) sulla composizione del nuovo governo palestinese. Entro domani Abu Mazen deve informare il parlamento di Ramallah se sia riuscito nell'incarico affidatogli. Ma ad uno dei suoi collaboratori ha confidato ieri di essere «stufo»: sia per gli ostacoli postigli dal Raíss (con cui pure lavora spalla a spalla da 40 anni), sia per le crescenti pressioni internazionali che lo mettono - ha detto - «con le spalle al muro». Perchè la opinione pubblica interna potrebbe vedere in lui - che è il n.2 dell'Olp - come un uomo imposto da interessi stranieri. Non sarebbe un buon precedente per la nascente democrazia palestinese. La posta in gioco è formidabile: la graduale ripresa, dopo 30 mesi di congelamento, del dialogo israelo-palestinese. Abu Mazen ritiene necessario abbandonare la lotta armata e gli Stati Uniti e Israele hanno reso noto che non appena avrà assunto i pieni poteri di premier sarà invitato a Washington e a Gerusalemme. Il segretario di stato Colin Powell ha inoltre anticipato che dopo la sua nomina sarà pubblicata la «road map» che dovrebbe indicare ad israeliani e palestinesi come meglio procedere verso una soluzione negoziata del conflitto. Ma ieri a Ramallah non c'era certezza che il governo di Abu Mazen riuscirà mai a decollare. Nella eventualità che questi decida di desistere, Arafat ha già contattato altri dirigenti politici per verificare se siano disponibili al ruolo di premier. Uno degli interpellati è stato il ministro della cooperazione internazionale Nabil Shaath: proprio uno dei personaggi che secondo Abu Mazen dovrebbero invece essere messi in disparte per non aver dimostrato in passato la necessaria efficienza.
La spina nelle relazioni fra Abu Mazen ed Arafat è stata identificata nel 43.enne colonnello Mohammed Dahlan, ex comandante della sicurezza preventiva a Gaza. E' lui - secondo il premier incaricato - l'uomo giusto per mettere la sordina alla intifada armata e indurre gli irriducibili a deporre le armi. Nei mesi scorsi Dahlan ha destato impressioni favorevoli al Cairo e a Washington. Ma proprio questi successi hanno impensierito Arafat che ha posto il veto alla sua nomina. Da una settimana Arafat ed Abu Mazen cercano di elaborare (con l'aiuto dei quadri dirigenti di al Fatah) una formula che consenta al primo di non delegare ad alcuno la sua supervisione sui servizi di sicurezza palestinesi e al secondo di poter affermare di aver composto un governo autorevole ed incisivo. Uno ad uno, Arafat è riuscito intanto ad emarginare gli uomini di Abu Mazen: Dahlan, a quanto pare, non sarà incluso nel nuovo governo. Il ministro Nabil Amr, che mesi fa aveva contestato ad alta voce in parlamento il potere assoluto di Arafat (e poche ore dopo aveva ricevuto una significativa sventagliata di arma automatica sulla facciata di casa), potrebbe non essere più il futuro ministro della informazione. Dietro le quinte, Arafat ha cucinato la lista di un nuovo governo che appare come una precisa riedizione dei governi passati. I nomi depennati da Abu Mazen solo una settimana fa sono riapparsi. «Prendere o lasciare» è stato detto ieri al premier incaricato. Per tutta la giornata i telefoni dei due dirigenti palestinesi hanno ieri squillato. Dagli Stati Uniti, dall'Europa, dall'Egitto si auspicava caldamente il superamento della crisi e la conferma di Abu Mazen alla carica di premier. Questo senso di urgenza è condiviso del resto dai quadri di al Fatah. Il suo dirigente in Cisgiordania, Hussein a-Sheikh, ha confermato ieri che i palestinesi anelano alla costituzione di un governo che al più presto convinca Israele a revocare il blocco dei Territori e la occupazione militare delle città cisgiordane. Ma i vertici militari israeliani vogliono prima essere rassicurati che da parte palestinese esista adesso la volontà di sventare nuovi attentati. Nella ultima settimana, secondo un portavoce militare a Tel Aviv, sono stati sventati dai soldati israeliani sei attentati che dovevano seminare la morte in Israele. Ancora ieri, nel campo profughi di Balata, a Nablus, è stata fermata una aspirante kamikaze. Il suo mandante, secondo questa fonte, era un militante locale di al Fatah.

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