Da Corriere della Sera del 17/04/2003
Bush: l’Iraq è libero, via le sanzioni Onu
Blix pronto a nuove ispezioni. Powell andrà a Damasco. «Azione Usa in Siria per cercare Saddam»
di Ennio Caretto
WASHINGTON - E' il discorso del trionfo, pronunciato tra la lacrima e il sorriso, ma non dell'annuncio della fine della guerra dell'Iraq, come invece molti si aspettavano: «La coalizione - avverte il presidente - incontra ancora dura resistenza, il nemico è ancora pericoloso. Continueremo finché la missione non sarà conclusa con la vittoria completa». Bush parla agli operai della Boeing, la produttrice del caccia F/A-18, a St. Louis nel Missouri, in una sosta del viaggio verso l'amato ranch del Texas, dove trascorrerà le vacanze di Pasqua. E' una giustificazione del conflitto, che stando al Pentagono è sinora costato 20 miliardi di dollari, la promessa di un futuro radioso agli iracheni. Ma sebbene vi accenni di sfuggita, il punto centrale del suo intervento è un altro: «Ora che il regime di Saddam Hussein è passato alla storia» l'Onu deve revocare le sanzioni contro Bagdad. Il presidente non ha aggiunto altro, ma la richiesta potrebbe portare a una battaglia al Palazzo di Vetro di New York (il Consiglio di sicurezza dovrebbe discuterne la prossima settimana). Revocare le sanzioni comporta annullare il programma «oil for food», petrolio in cambio di cibo, attualmente gestito dal segretario Kofi Annan.
L'ONU - L'obiettivo americano è di sottrarre il greggio al controllo collettivo e affidarlo all'Iraq, e di creare subito un libero mercato. Ma, almeno all’inizio, il petrolio sarebbe nelle mani Usa, l'unica vera autorità a Bagdad. Esiste inoltre un altro problema, ignorato da Bush: quello del ritorno degli ispettori del disarmo in Iraq, il cui mandato è ancora in vigore. Il presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, il messicano Adolfo Angilar Zinzer, il cui Paese si è opposto alla guerra, annuncia che martedì il capo ispettore Blix presenterà un rapporto. «Gli ispettori - dice - sono pronti a tornare in Iraq». La prospettiva non piace a Bush, che vi ha mandato una sua équipe di esperti.
L'IRAQ - Da parte sua, mentre l'Fbi, la polizia federale, riduce l'allarme negli Usa dal livello arancione a quello giallo, Bush sospende le sanzioni americane contro Bagdad. «L'America è più sicura e l'Iraq è libero» spiega. «Le prigioni politiche e le camere di tortura sono in pensione, ed è difficile trovare una statua di Saddam Hussein». Il presidente sorride: «Abbiamo evitato un disastro umanitario e un'ondata di rifugiati. La ricostruzione e la transizione alla democrazia non saranno facili ma la futura vita degli iracheni sarà la migliore da molte generazioni. L'Iraq verrà governato dagli iracheni e per gli iracheni».
IL TERRORISMO - «Stiamo vincendo la guerra globale al terrorismo - dice Bush -. Ora i tiranni di tutto il mondo sanno che agiremo per difenderci, anziché aspettare che avvenga una tragedia». Il presidente sottolinea che la nuova strategia del Pentagono e le sue alte tecnologie «hanno cambiato il modo di fare la guerra: noi possiamo colpire un regime senza distruggere un Paese». Bush non pronuncia la parola Siria, ma non ce n’è bisogno: è chiaro che parla anche a Damasco, all'Iran e alla Corea del Nord.
LA SIRIA - Al quarto giorno di moniti americani, annuncia misure destinate assieme a pacificare l'America e ottenere l'appoggio internazionale. Ordina ai diplomatici iracheni di lasciare il Paese ed esorta l'Onu ad approvare subito le passate risoluzioni sull'abolizione delle armi di sterminio in tutto il Medio Oriente, «compreso Israele». Ma respinge la richiesta Usa di chiudere gli uffici degli estremisti palestinesi e frenare l'Hezbollah in Libano, una spina nel fianco israeliano. Il ministero degli Esteri ripete che le accuse di nascondere armi chimiche e aiutare Saddam Hussein «sono senza fondamento». Sostiene che «la Siria intende collaborare in difesa degli interessi del popolo iracheno» e che «dialoga con gli Stati Uniti». Ieri il segretario di Stato Colin Powell ha reso noto che gli Stati Uniti hanno dato il via a «vigorosi colloqui diplomatici» con la Siria e che lui stesso intende andare a Damasco per «colloqui diretti e schietti con il ministro degli Esteri Farouk al-Sharaa e con il presidente Assad», senza precisare le date del viaggio. L’esercito americano è pronto a lanciare un’operazione di commando in Siria per eliminare Saddam Hussein, nel caso il dittatore fosse localizzato in quel Paese. Lo sostiene il quotidiano britannico The Times , citando fonti del comando centrale a Doha.
FRANCIA E RUSSIA - La Casa Bianca svela che oggi a una riunione fra il consigliere per la sicurezza Condoleezza Rice, il segretario di Stato Colin Powell e il ministro della Difesa Donald Rumsfeld verrà deciso che linea seguire nei confronti di Parigi, che si è opposta alla guerra. Sulla Russia la decisione è già presa: recuperare i rapporti, come dichiara l'ambasciatore a Mosca Vershbow. Ma ciò non impedisce al presidente russo Putin di auspicare «il ripristino del primato del diritto internazionale e del ruolo unico dell'Onu».
L'ONU - L'obiettivo americano è di sottrarre il greggio al controllo collettivo e affidarlo all'Iraq, e di creare subito un libero mercato. Ma, almeno all’inizio, il petrolio sarebbe nelle mani Usa, l'unica vera autorità a Bagdad. Esiste inoltre un altro problema, ignorato da Bush: quello del ritorno degli ispettori del disarmo in Iraq, il cui mandato è ancora in vigore. Il presidente di turno del Consiglio di Sicurezza, il messicano Adolfo Angilar Zinzer, il cui Paese si è opposto alla guerra, annuncia che martedì il capo ispettore Blix presenterà un rapporto. «Gli ispettori - dice - sono pronti a tornare in Iraq». La prospettiva non piace a Bush, che vi ha mandato una sua équipe di esperti.
L'IRAQ - Da parte sua, mentre l'Fbi, la polizia federale, riduce l'allarme negli Usa dal livello arancione a quello giallo, Bush sospende le sanzioni americane contro Bagdad. «L'America è più sicura e l'Iraq è libero» spiega. «Le prigioni politiche e le camere di tortura sono in pensione, ed è difficile trovare una statua di Saddam Hussein». Il presidente sorride: «Abbiamo evitato un disastro umanitario e un'ondata di rifugiati. La ricostruzione e la transizione alla democrazia non saranno facili ma la futura vita degli iracheni sarà la migliore da molte generazioni. L'Iraq verrà governato dagli iracheni e per gli iracheni».
IL TERRORISMO - «Stiamo vincendo la guerra globale al terrorismo - dice Bush -. Ora i tiranni di tutto il mondo sanno che agiremo per difenderci, anziché aspettare che avvenga una tragedia». Il presidente sottolinea che la nuova strategia del Pentagono e le sue alte tecnologie «hanno cambiato il modo di fare la guerra: noi possiamo colpire un regime senza distruggere un Paese». Bush non pronuncia la parola Siria, ma non ce n’è bisogno: è chiaro che parla anche a Damasco, all'Iran e alla Corea del Nord.
LA SIRIA - Al quarto giorno di moniti americani, annuncia misure destinate assieme a pacificare l'America e ottenere l'appoggio internazionale. Ordina ai diplomatici iracheni di lasciare il Paese ed esorta l'Onu ad approvare subito le passate risoluzioni sull'abolizione delle armi di sterminio in tutto il Medio Oriente, «compreso Israele». Ma respinge la richiesta Usa di chiudere gli uffici degli estremisti palestinesi e frenare l'Hezbollah in Libano, una spina nel fianco israeliano. Il ministero degli Esteri ripete che le accuse di nascondere armi chimiche e aiutare Saddam Hussein «sono senza fondamento». Sostiene che «la Siria intende collaborare in difesa degli interessi del popolo iracheno» e che «dialoga con gli Stati Uniti». Ieri il segretario di Stato Colin Powell ha reso noto che gli Stati Uniti hanno dato il via a «vigorosi colloqui diplomatici» con la Siria e che lui stesso intende andare a Damasco per «colloqui diretti e schietti con il ministro degli Esteri Farouk al-Sharaa e con il presidente Assad», senza precisare le date del viaggio. L’esercito americano è pronto a lanciare un’operazione di commando in Siria per eliminare Saddam Hussein, nel caso il dittatore fosse localizzato in quel Paese. Lo sostiene il quotidiano britannico The Times , citando fonti del comando centrale a Doha.
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