Da Corriere della Sera del 15/04/2003

«La Siria aiuta i terroristi, faremo qualcosa»

L’America: «Pronti a esaminare sanzioni». Ma Londra frena: «Nessun attacco». Kofi Annan «preoccupato»

di Ennio Caretto

WASHINGTON - L’America aumenta la pressione sulla Siria, come se avesse rimpiazzato l’Iraq nell’«Asse del male». E’ un crescendo di accuse e minacce, che spinge la Gran Bretagna a precisare che «non esiste alcun piano di attacco». E il segretario generale dell’Onu Kofi Annan a dichiararsi «preoccupato». Il blitz ha l’impronta di George Bush, deciso a porre Damasco con le spalle al muro. Il presidente non ripete di persona quanto annunciato all’improvviso l’altro ieri: che la Siria possiede delle armi chimiche, che aiuta militarmente e che protegge Saddam Hussein. Ma lo fa dire in termini durissimi dal suo portavoce Ari Fleischer, dal segretario di Stato Colin Powell, la colomba dell’amministrazione, e dal falco Donald Rumsfeld, il ministro della Difesa. Powell ammonisce la Siria che potrebbe essere oggetto di «misure economiche politiche, diplomatiche e d’altro genere». Fleischer ricorda che essa figura nell’elenco degli Stati che sponsorizzano il terrorismo. Rumsfeld è il più circostanziato: «Abbiamo le prove che negli ultimi 12-15 mesi la Siria ha condotto un esperimento con armi chimiche».
Il ministro della Difesa Rumsfeld secondo fonti del Pentagono aveva commissionato a un team di esperti un piano sullo scenario completo di una guerra contro la Siria. Ma la Casa Bianca ha chiuso il discorso sull’allargamento del conflitto.
L’obiettivo di Bush è chiaro: indurre il presidente siriano Bashar Assad a rinunciare a mezzi di distruzione di massa, a smettere di interferire in Iraq, a consegnargli i leader iracheni che si fossero rifugiati a Damasco. Le dichiarazioni degli uomini di punta di Bush sono volutamente ambigue sull’uso della forza. Dopo la portaerei Lincoln, il presidente ne richiama altre due, la Constellation e la Kitty Hawk, e rinvia la partenza di nuove truppe per il fronte. Gli fa inoltre da freno il premier britannico Tony Blair, che in un discorso ai Comuni a Londra riferisce di avere ricevuto da Assad garanzie «non solo sul problema delle armi chimiche ma anche su quello del terrorismo». Il suo ministro degli Esteri Jack Straw ribadisce che «nessuno prepara un attacco alla Siria, ma occorre trattare con Damasco».
Ma è un dialogo pesante. Powell è esplicito. «Abbiamo all’esame possibili misure - spiega -. Spero che la Siria capisca i suoi obblighi. Alla luce del nuovo clima nel Golfo e in Medio Oriente, dovrebbe modificare la sua condotta, e così dovrebbero fare altri». Il segretario di Stato esprime il timore che «Damasco abbia prodotto armi chimiche e abbia finanziato il terrorismo», aggiunge che 52 leader iracheni hanno cercato di rifugiarsi a Damasco, e conclude che le rassicurazioni sulla chiusura dei confini non bastano: «I confini sono porosi» .
Fleischer proclama che «la Cia ha appena presentato al Congresso un rapporto sulle armi di distruzione di massa siriane» e che «le prove sono sostanziose». Si dimostra ansioso che Damasco «recepisca il messaggio, che le è stato rinnovato numerose volte» e che «segnali all’intera regione l’impegno a non destabilizzarla e il suo distacco dal regime di Saddam Hussein». Fleischer si appella ad Assad, «un leader nuovo e giovane», affinché si adopri per togliere la Siria dalla lista dei Paesi sponsor del terrorismo: «Deve collaborare. Non possiamo fingere di non vedere e non sapere».
Da Damasco e numerose altre capitali giungono reazioni negative. La prima smentisce di possedere armi chimiche e rimprovera all’America di non premere anche su Israele per fargli abbandonare l’atomica. Mosca lamenta che «asserzioni così drastiche mettano a rischio i rapporti con la Siria e più ancora gli equilibri del Medio Oriente». La risposta di Rumsfeld è dura. Il capo del Pentagono fa due rivelazioni: che l’ intelligence «ha visto leader iracheni in fuga entrare in Siria o attraversarla e autobus carichi di siriani armati andare in Iraq» (fonti anonime del Pentagono sostengono che la prima moglie del raìs, Sajida Khairallah Telfah, sarebbe fuggita in Siria); e che «ha visto un test siriano con armi chimiche negli ultimi 12-15 mesi». E’ lo stesso linguaggio usato un anno fa contro l’Iraq.

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