Da La Stampa del 02/04/2003

«Per la prima volta ho la sensazione che rischiamo una crisi di civiltà»

Veltroni: sono contro Bush ma non antiamericano

«Gli Usa sono un riferimento per i democratici in tutto il mondo. Però questo presidente ha sbagliato strada, mentre Clinton ha interpretato una leadership morale e non militare»

di Aldo Cazzullo

ROMA. SINDACO Veltroni, dagli ebrei romani - e non solo - viene un grido di richiamo alla sinistra. Che accusano di parzialità e, in alcune frange, di antisemitismo.
«Se c´è una cosa che agli ebrei non manca è la memoria. Non dimenticano quel che hanno subito, sanno riconoscere l´ipocrisia, ricordano chi sino a qualche anno fa stava dall´altra parte. E conoscono la grande attenzione a Israele e agli ebrei dimostrata da personalità della sinistra come Furio Colombo, Piero Fassino, Francesco Rutelli. L´amministrazione di Roma ha costruito in questo anno e mezzo un rapporto privilegiato con la comunità ebraica, ha lavorato sulla memoria e sul dialogo, facendo incontrare Shimon Peres e Mohammed Rashid e ospitando i negoziati che hanno portato all´unico documento comune tra israeliani e palestinesi dalla rottura delle trattative».

Questo le viene riconosciuto. Resta l´accusa di antisemitismo rivolta a settori del movimento pacifista.
«Qualsiasi posizione antisemita è sbagliata, inaccettabile e regressiva. Ma io sono stato al grande corteo del 15 febbraio, e non ho visto bruciare bandiere americane o israeliane, anzi, ho visto un manifestante - un genio - portare la bandiera con la stella di David accanto a quella palestinese. E palestinesi ed ebrei hanno sfilato insieme lungo i Fori Imperiali con lo striscione «Due popoli due Stati». Questo è il popolo della pace. Le posizioni estremistiche ci possono essere, ma quel popolo merita rispetto, non le battute di Berlusconi contro le bandiere rosse. Sono cose che soltanto chi non conosce la storia italiana può dire. La bandiera rossa altrove ha segnato dittature, ma in questo paese è stata innalzata durante la Resistenza come segno di libertà, da uomini che sono morti per dare anche a Berlusconi la possibilità di dire quel che dice».

Berlusconi dice che la sinistra è antinazionale.
«Forse sono antinazionali Robin Cook e John Major, entrambi contrari alla guerra? Sarà possibile esprimere le proprie opinioni, dire che questa guerra è sbagliata?».

Dicono gli ebrei che distinguersi da Israele, come fece Primo Levi nell´82, oggi è «un lusso che non possiamo permetterci».
«Penso che oggi non sia facile essere ebrei. Da un lato le persecuzioni neonaziste, i cimiteri profanati, le scritte sui muri. Dall´altro l´insicurezza di Israele. Non posso dimenticare il racconto di Amos Luzzatto su quel suo amico che manda a scuola i due figli su due autobus diversi, per essere certo di rivederne almeno uno la sera. Gli ebrei italiani avvertono questo orgoglio e questa appartenenza, ma conoscono il valore del confronto e della tolleranza. Quando da romano vado al ghetto e penso alle migliaia di deportati, quando vado alle Fosse Ardeatine e leggo i nomi dei morti, sono consapevole che gli ebrei esprimono un grande valore condiviso, il rifiuto della dittatura e del razzismo. Di questi tempi, non è poco. E´ oro».

C´è un altro rapporto che le sta a cuore, quello tra la sinistra e l´America, che rischia di andare a pezzi in questi giorni. Cosa risponde a chi accusa i pacifisti di antiamericanismo?
«L´America è un riferimento per tutti i democratici in tutte le parti del mondo. Non ha mai conosciuto dittature, e tutte le cose che sono venute da là spiacevano alle dittature: come il jazz, come Steinbeck e Faulkner, che il comunista Vittorini fece conoscere dopo la guerra pubblicando "Americana". Non si può essere democratici e antiamericani, non avrebbe senso. Ma si può essere contro Bush senza essere antiamericani».

Le rimproverano di far riferimento all´«altra America», della musica, del cinema, dei grandi giornali liberal, virtuosa ma, almeno in questa fase, minoritaria.
«In America ci sono due correnti culturali e politiche. E´ legittimo sceglierne una. Io lo faccio. Più che l´antiamericanismo della sinistra, mi preoccupa il riflesso ideologico di alcuni filoamericani, per cui chi è contro la guerra è contro l´America, e quindi Cofferati e Berlinguer stanno con Saddam. Ma che paese è questo in cui di guerra si discute a Domenica In in termini di tifo, come se si parlasse di calcio? La destra non può lamentarsi per uno striscione con Berlusconi con l´elmetto, e poi accusare Cofferati e Berlinguer di "volere più morti", come ha scritto Libero».

Ma non le sembra un po´ surreale il dibattito che si è aperto a sinistra sulla durata auspicabile del conflitto?
«Non sembra; è surreale. Perché la guerra è già una guerra lunga. Bush ha avvertito che durerà mesi, Franks che si arriverà all´estate. Di cosa stiamo discutendo? Il vero problema è ottenere due condizioni: un cessate il fuoco che rimetta in gioco l´Onu, e l´intervento umanitario, indispensabile in una guerra che si fa feroce, con città assediate prive di acqua, gas, luce, viveri».

Le pare realistico un cessate il fuoco con Saddam ancora al potere?
«Saddam è un dittatore criminale, sono tra i pochissimi europarlamentari socialisti ad aver votato la proposta di Pannella per mandarlo in esilio, mi sono rifiutato di ricevere il suo vice Aziz. Il mio dolore di oggi per i bambini iracheni non è diverso dal mio dolore di ieri per i bambini curdi gasati dagli iracheni. Proprio per questo credo di poterlo dire: la guerra sta producendo effetti devastanti, ha diviso l´Onu, la Nato, l´Europa, sta ulteriormente radicalizzando i paesi musulmani come la Siria e l´Iran; sta, come ha detto Mubarak, creando centinaia di Bin Laden. Se la guerra conoscerà un´escalation, quali saranno le conseguenze sui precari equilibri mondiali? Il rischio è un mondo con un´economia globalizzata ma con una politica che indietreggia su posizioni identitarie, sul piano etico, religioso o della affermazione di potenza».

Non ha l´impressione che la sinistra, e in particolare il partito di cui lei è stato segretario sino a due anni fa, stia fallendo anche questa chance di unità perché lacerata da una lotta di potere, in cui nessuna occasione di attrito viene lasciata cadere?
«Guardi, questa guerra ha scomposto tutto. Qui non si tratta di scrivere insieme un documento sui tempi della costruzione del nuovo Ulivo, ma di affrontare una crisi che taglia a metà i popolari europei, i liberali, i socialisti; che vede i partiti di cultura cattolica contrapposti al Papa; che vede contrari Brezinsky, Kissinger e in parte persino Luttwak. A questo travaglio fisiologico, nella sinistra italiana si aggiunge un elemento soggettivo: la propensione alla divisione piuttosto che all´unità. Che è il motivo per cui questo paese è governato da Berlusconi. O la sinistra troverà la pazienza e la tenacia per costruire l´unità, sulla base di una sintesi ragionevole delle diverse posizioni, o Berlusconi continuerà a governare. Lo si è già visto nei cortei per la pace. Dei tre milioni e mezzo di manifestanti del 15 febbraio, nessuno avrebbe saputo dire chi l´aveva convocato. Ma appena il campo della pace si è frammentato in partiti e movimenti, i manifestanti sono diventati molti di meno».

La frattura tra riformisti e radicali è ricomponibile?
«Sono convinto che in questa fase il centrosinistra possa essere maggioritario nel paese. Ma ogni contendente deve sacrificare un po´ di se stesso; altrimenti finiranno come i Duellanti del film di Ridley Scott, che sguainavano le spade su qualunque terreno si trovassero. Io ho sempre usato l´espressione della "radicalità nel riformismo", credo in un riformismo forte, che ambisca alla trasformazione delle cose. Non vorrei tornare a citare Kennedy, ma insomma Jfk non era un rivoluzionario; però quando faceva salire i neri sugli autobus dei bianchi dimostrava un riformismo dai valori forti. E, in queste ore drammatiche, si capisce meglio anche la grandezza di Clinton, che ha dato all´America otto anni di sviluppo economico, ma soprattutto ha interpretato una leadership morale e non militare, firmando il protocollo di Kyoto, intervenendo in Bosnia, riconoscendo il Tribunale penale internazionale. Bush ha imboccato la direzione opposta. Con conseguenze che potrebbero essere catastrofiche».

Quale scenario ipotizza?
«Cupo. Per la prima volta nella mia vita ho la sensazione che rischiamo una crisi di civiltà, che il genere umano stia vivendo una fase tragica. Con un Occidente opulento ma privo di motivazioni che ricorda un gigantesco supermarket, in cui ognuno ha l´impressione di poter scegliere, ma è in realtà preccupato o che entri troppa gente o che un altro entri prima di lui. E con una gigantesca disuguaglianza, che a differenza del passato i media rendono visibile. A questa situazione già grave si aggiungono la perdita di elementi di sintesi e l´affermazione delle politiche di forza. Il risultato è un mondo fragile, con gli organismi del governo mondiale divisi e delegittimati; un mondo spaventato, in cui non si può andare in Oriente per paura del virus, in America per paura del terrorismo, in Medio Oriente per paura della guerra. Le parole del cardinale Etchegaray e del Papa, che paventano un esito catastrofico del ricorso alle armi, non suonano esagerate. Per questo non dobbiamo rinunciare alla speranza di farle tacere».

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